domenica 1 luglio 2007

mani tese

Ringrazio Morgan il cui blog mi ha indotta a pubblicare un post che da tempo mi friggeva fra le mani.


So che è ingiusto, ma è così. Abbiamo le nostre simpatie e antipatie anche quando si tratta di mendicanti. Non credo di essere più spregevole di altri e quindi penso che capiti anche a voi di scostarvi infastiditi di fronte alla mano tesa di un mendicante o di fermarvi invece per dare la piccola somma richiesta ad un altro. Talvolta è la fretta che decide per noi, la situazione in cui ci troviamo al momento, ma spesso è proprio l’istintiva simpatia o antipatia che ci ispira il mendicante.Dite di no? Va bene, allora sono più spregevole di voi.

Rispetto ai mendicanti io mi sono data una regola: acconsento a non più di due richieste al giorno. Lo so è un po’ brutale. Naturalmente posso contemplare delle eccezioni ma in linea di massima mi regolo come ho detto. Tutto questo però non tiene conto dei ‘miei’ mendicanti. Quelli che considero figure familiari e cui mi lega un piccolo filo di sentimento protettivo. Alcuni li ho seguiti per anni. E poi li ho persi. A questi ero davvero affezionata.
Uno era un vecchietto esile, con una figura che era stata alta ed ora era curva. Estate e inverno sul vestito portava un cappotto. Aveva un cappello con sé. Era pulito. Aveva grandi mani nodose. Sedeva su una piccola sedietta in via del Gambero e attendeva a testa bassa che qualcuno si accorgesse di lui. Io mi fermavo a parlargli, d’estate cercavo di convincerlo a spostarsi sul lato in ombra della strada, l’inverno quando pioveva lo aiutavo ad arretrare con la sua sedietta nello spazio riparato di un portone. Ringraziava sempre per l’aiuto che riceveva ma senza esagerare, con timidezza e tranquillità insieme.
Qualche volta mi ha mandato a cambiare per lui al bar all’angolo il mucchietto di spiccioli guadagnati nella giornata.
Non sono mai riuscita a vedere la persona che lo portava lì. Mi dissero che era il figlio che poi si spostava di quartiere per mendicare a sua volta. Con gli anni la figura si incurvò sempre di più e le mani gli tremavano. Oltre alla piccola elemosina accettava ogni tanto che gli portassi un cappuccino. Non ero la sola ad interessarmi, sia pure in questa forma minima, di lui. C’era una signora molto giovane che ci discuteva spesso. Voleva convincerlo a non restare nella strada ma a sistemarsi all’ingresso della piccola cappella di fronte alla sua postazione. Al coperto d’inverno e al riparo dal sole d’estate. Non riuscì mai a convincerlo. Ogni tanto si ammalava e si assentava dal suo posto di lavoro. Ma poi ogni volta ricompariva. A sentire lui aveva settanta anni, ma né io né la signora ci credemmo. Era molto più vecchio. Aveva una voce bassisima. Per capirlo bisognava chinarsi su di lui. All’inizio era lucido, attento, poi sempre più confuso. Non sempre mi riconosceva. Allora non voleva farsi levare la sciarpa che in pieno agosto teneva comunque al collo. Si impuntava e dovevo andarmene sconfitta.
Nel settembre scorso l’ho visto davvero malandato, gli tremavano anche le labbra, incessantemente e non mi rispose quando gli chiesi come si sentisse e se avesse bisogno di qualche cosa. La settimana seguente non lo trovai e così la successiva.
Non è più tornato. Anche se sapevo benissimo che era vicino alla fine la sua scomparsa mi colpì. E mi addolorò.
I buoni sentimenti non c’entrano niente. Come non credo di essere peggiore di altri così non credo di esssere migliore. Ognuno di noi si identifica per qualche ragione ignota in qualche altra creatura. Evidentemente per qualche motivo io mi sentivo un vecchietto.

All’ altra mia mendicante di affezione, perduta anche lei, avevo dato un nome. La chiamavo Olga. Quando l’ho conosciuta non mendicava. Erano gli anni settanta e alle manifestazioni femministe lei vendeva i fiori. Non solo le mimose l’otto di marzo, ma ogni tipo di fiore ad ogni corteo. Ci seguiva lungo il nostro percorso con i suoi mazzi di fiori. Era molto bella, la carnagione bianchissima e degli occhi celeste fiordaliso. Diceva di essere russa e di famiglia nobile.Per questo la chiamavo Olga. Vestiva con enormi gonne su sottogonne gonfie e sopra metteva dei grembiuli ricamati. Aveva davvero un’aria favolosa, orientaleggiante. Poi smise di vendere i fiori. Veniva sempre ai nostri cortei ma aveva iniziato a chiedere l’elemosina. Eravamo in molte a darle qualcosa. Le piaceva parlare. Raccontava storie della sua vita. Me ne è rimasta solo l’impressione. Molta avventura, molti amori. Ha cambiato almeno tre postazioni nel tempo. Gli ultimi anni stava all’inizio di via del Tritone, sul basamento della Chiesa di S. Maria in Via. Aveva sempre un enorme fagotto con sé. Quando mi vedeva scendere dall’autobus mi chiamava. Aveva sempre qualche richiesta. Acqua o il caffè o una sigaretta. Io non fumo, e allora mi mandava dal tabaccaio lì vicino. Ma soprattutto voleva parlare. Aveva un atteggiamento molto affettuoso, era una di quelle persone che quando ti parlano sentono il bisogno di toccarti le mani o le braccia. Aveva un problema grave ad una gamba. Passava brevi periodi in ospedale e poi riusciva. Una donna molto energica che frequentava la Chiesa si occupava di lei. L’accompagnava per le medicazioni all’ospedale S. Giacomo. Una volta lo chiese a me. Esitai. -Dove devi andare? -Mi chiese. Imbarazzata risposi che avevo appuntamento dal parrucchiere. Mi affrettai a dire che non importava, potevamo andare. Si rifiutò.Vai a farti bella-mi disse. -Qualcuno trovo sicuramente- Sentendomi ormai un verme insistetti. Ma fu irremovibile.
-Gli uomini ci voglione belle- Affermò-Vai, vai-.
Era allegra. L’ultimo periodo il piede era ormai in cancrena. Le dava dolore. Prendeva molte medicine. Invece del caffé che era stata la sua passione preferiva che le comprassimo quelle. Cominciavo a chiedermi quanto si potesse vivere con una gamba in quelle condizioni quando un mercoledì scendendo dall’autobus non la trovai. Mi dissi che forse aveva subito l’ennesimo ricovero ma io stessa capivo che non era così. Domandai sue notizie in Chiesa. Era morta da pochi giorni.
Non vi fate incantare da queste mie frequentazioni. Non sono una buona samaritana. Sono egoista come tutti noi.
Diciamo che funziono ad istinto. Ci sono persone che mi stanno istintivamente simpatiche, che mi piacciono, con cui mi piace parlare. Non sono mendicanti per me. Il fatto che io passi loro piccole somme insignificanti è secondario. Per me sono solo persone. Persone che mi piacciono. Tanto è vero che mai ho dato una lira ad una donna tutta vestita di nero che per anni si prostrava sul marciapiede di Piazza S. Silvestro, con la fronte quasi a terra. Non so dire se avesse più o meno bisogno di Olga, ma mi era antipatica. Passavo e la ignoravo. Questo per non generare in voi l’equivoco che io sia donna con cuore e mano generosi. No, ho solo le mie simpatie e antipatie.

Una simpatia speciale l’ho avuta per un piccolo trio di musicisti che frequentava il tram numero 3 tra piazzale Flaminio e piazza Mancini. In quel periodo lo prendevo tre volte a settimana. I tre erano i miei concertisti preferiti. Erano due rumeni ed un sud americano. Uno dei rumeni era un bambino di una diecina di anni e suonava la fisarmonica. Gli altri la chitarra e il violino. Suonavano degli intramontabili, musica popolare, tanghi soprattutto. Arrivati al capolinea cominciavano a chiedere qualche moneta. Molti passeggeri protestavano, ne erano infastiditi. Io trovo che è semplicemente meraviglioso che qualcuno accompagni con la musica i nostri percorsi sui mezzi pubblici. Il Comune dovrebbe dar loro un piccolo contributo. Voglio suggerirlo al Sindaco. Mi accompagnarono per un anno intero. Adesso suonano spesso su Via del Corso, di fronte a via dei Condotti. Sono diventati quattro, si è aggiunta una tromba. E’ un impasto di suoni insolito ma abbellisce la città secondo me.
Quando passo provo sempre la voglia di fermarmi a cantare con loro. Cantare in strada mi piace, spesso canticchio tra me e me rifiutando di farmi tappare la bocca da quanti, incrociandomi, mi guardano con sorpresa e/o disapprovazione.
-Sto solo cantando, non sventolo sopra la testa le budella di un infante! -vorrei dire loro.
Ai romani: se vi imbattete in una donna che canta, spesso arie dalle Nozze di Figaro, marciando sulla pubblica via, non vi allarmate. Salutatela e risponderà al vostro saluto. Non è pazza. O meglio, non è pazza perché canta e non canta perché è pazza. Insomma la sua pazzia non ha niente a che fare con il canto.

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