giovedì 6 dicembre 2007

morire per vivere alla ThyssenKrupp di Torino

Le morti improvvise possono essere dovute a tantissime circostanze diverse. Tutte ci colpiscono e ci addolorano. Ma morire sul lavoro, morire di lavoro, è insopportabile. Si lavora per vivere, non per morire. Antonio Schiavone aveva 36 anni, una moglie e due figli. Altri suoi nove compagni si trovano in condizioni gravissime, in vari ospedali. Spero che nessuno pronunci la parola "fatalità". Tutte le statistiche sulle morti sul lavoro in Italia dicono che la fatalità non c'entra niente.
Che le condizioni in cui si lavora, sono spesso, di per sé, potenzialmente assassine. Sono queste le cose di cui la politica si deve occupare. Le alchimie elettorali e istituzionali non hanno senso se i governi non si occupano -in primis- della vita "materiale" dei cittadini. Senza dimenticare che la vita "materiale" è anche speranze, desideri, progetti, affetti. E' tutto questo che si rompe quando un uomo muore sul posto di lavoro.

2 commenti:

  1. E poi si parla di sicurezza... Giulia

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  2. la 626 è una delle leggi meno applicate. Io nel mio piccolo di impiegata statale passo la giornata di lavoro coi piedi che poggiano su un intrico di cavi elettrici sotto la scrivania che più pericoloso non si può, e c'ho la stampante che scalda in modo allarmante. Idem per le tutte le postazioni dei colleghi.

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Non c'è niente di più anonimo di un Anonimo