venerdì 20 giugno 2008

Storia della felicità/dieci/essere felici non è romantico

Il romanticismo più che un movimento consapevole di sé fu una diffusa sensibilità culturale e l’uomo romantico più che accomunato da visioni teoriche era unificato da un temperamento.
I romantici, dopo la fiammata della rivoluzione francese, tutta azione, tornano alla riflessione e riscoprono l’emotività e la sensibilità.
Essi ridanno fascino e appeal alla sofferenza. Il dolore, quello dell’animo, ritrova persino uno scopo: elevarsi sopra la superficialità e raggiungere fini più elevati. In questa posizione si sente il ricordo della vecchia cara “valle di lacrime” del cristianesimo, come viatico per il Paradiso.
Il romanticismo ama la sofferenza molto più che la felicità; considera l’illanguidire nella malinconia molto più chic che ridere nell’allegria; ha in Werther il suo mito e in Schopenhauer il suo pessimista più vertiginoso.
Ma i romantici, come i cristiani di secoli prima, hanno una fede ed una speranza: la Gioia. Questo è un termine ricorrente nei loro scritti.
Che cosa rappresenta esattamente la Gioia per i romantici?
Essa ha una notevole somiglianza con l’eterna forza spirituale che i cristiani chiamano Grazia. Con una differenza non da poco però: i romantici non parlano della Gioia come di una forza conferita da Dio. Essa è immanente, giace dentro di noi così come in grembo alla natura, non è concessa dall’alto, né mediata dalla chiesa.
Inoltre, se la gioia è una promessa, essa deve realizzarsi non in un altro mondo ma in questo.
Ed anche se la Gioia ci venisse incontro solo nel Paradiso, questo può essere anticipato artificialmente: vedi il rapporto di Thomas de Quincey con l’oppio o quello di Baudelaire con l’hashish.
L’altra freccia all’arco romantico è rappresentata dall’arte.
“Tutta l’arte è dedicata alla gioia -dice Schiller- e non c’è impresa più alta o più seria che rendere l’uomo felice”. Nasce così la sua ode alla gioia, “An die Freude”, che Beethoven metterà in musica imprimendogli uno slancio vitale possente.
Personalmente posso testimoniare che cantare, ma in tedesco! l’Inno alla Gioia di Beethoven, spalanca l’anima all’ottimismo e fornisce persino una frizzante energia fisica.

Friedrich von Schiller

4 commenti:

  1. Ecco, aspettavo leggere il continuo di questa serie dedicata alla felicità, quella felicità che nessuno cerca, ahimé! ahinoi! ahitutti!
    (Que dolor)
    Felicità
    Rino, qua e ora.

    RispondiElimina
  2. L'aspirazione alla felicità è insita nella natura umana, ma credo sia un traguardo non raggiungibile.
    La serenità, invece, è possibile...

    RispondiElimina
  3. la felicità fa parte della nsotra vita quando più e quando meno e concordo con il qui ed ora di Rino. Intanto mi sembra importante perseguirla e raggiungerla su questa terra sull'alto dei cieli ci stiamo organizzando.

    RispondiElimina
  4. Anche se non prendo più lezioni di canto, ci voglio provare a cantare l'Inno alla gioia in tedesco perchè ho proprio bisogno di ottimismo e anche di energia.

    RispondiElimina

Non c'è niente di più anonimo di un Anonimo