sabato 25 aprile 2009

ricordare

"Resisteva il popolo, tutto, con una muta, scontrosa, impassibilità. Resisteva ai neofascisti, ai quali non dette la menoma collaborazione. Nessuna città fu meno prona di Roma ai nuovi tirannelli. [...]
Roma, ancora oppressa dai tedeschi e dai fascisti, si sentiva già avulsa dal resto d'Italia, indipendente da quel governo del settentrione. E resisteva ai tedeschi, incurante delle grida che minacciavano di morte chi non si presentasse al servizio del lavoro. Al primo bando si presentò poco più del due per cento dei chiamati; al secondo bando non si presentò, si può dire, nessuno (un ufficiale tedesco, un 'tecnico' dell'occupazione, che era stato in Olanda, in Polonia, in Francia, non se ne capacitava. Dappertutto, diceva, ho visto che al primo bando si presentava il venticinque, il trenta per cento dei chiamati, al secondo si arrivava al quarantacinque, al cinquanta per cento; ma qui da voi è impossibile, non viene nessuno). Era una ribellione muta, paziente, incrollabile. Un giorno il comando tedesco fece sfilare per le vie della città un'intera divisione, carri armati, auto blindate, negli autocarri soldati in perfetta tenuta di guerra, i fucili mitragliatori puntati verso la strada, una perfetta, terribile, macchina di guerra. I romani la lasciarono passare con qualche occhiata distratta, i crocchi si discioglievano al passaggio, gente che aspettava l'autobus si allontanava perché non si credesse che stesse ferma a spettacolo. "
Paolo Monelli: Roma 1943-Einaudi, Torino - 1993


di Carla Capponi
da Storiaememoria. it

Tante donne, operaie, contadine, studentesse, impiegate, aristocratiche, casalinghe, suore. Tutte volontariamente, spontaneamente, senza un ordine, senza un appello se non quello del loro cuore, scesero in campo trasformando la città, le campagne della provincia, assediate, saccheggiate, bombardate, in tanti rifugi segreti ove trovarono salvezza "i poveri figli di mamma"; i soldati di quelli esercito che Mussolini aveva portato alla guerra e alla disfatta. C'è chi ha ironizzato sul numero dei partigiani riconosciuti: "troppi", è stato scritto: "avete gonfiato il numero dei partecipanti". Contro questa accusa e la presunzione di reinterpretare i fatti, la storia di quei 272 giorni di occupazione nazifascista di Roma, voglio portare un contributo, un approfondimento, di conoscenza, su chi, pur non combattendo con le armi, ha lottato, rischiando forse più di me, con meno gloria. Troppe donne non sono state neppure riconosciute patriote e dei loro nomi, del loro coraggio si è persa la memoria. Dovendomi limitare per motivi di tempo all'analisi degli ultimi mesi quando si preparava la liberazione di Roma da parte degli alleati, dovrei tacere del grande contributo di partecipazione civile dato dalle donne l'8 settembre, e nei due giorni di combattimenti che seguirono, per la difesa, di Roma da parte dei militari. Consentitemi tuttavia di ricordare, perché è essenziale ai fini della comprensione del coinvolgimento delle masse femminili nelle operazioni di guerriglia che si svilupparono nei nove mesi successivi, come iniziò il loro impegno, la loro scelta di lotta. Nella battaglia combattuta dai militari, dalla Magliana alla Montagnola, a Porta San Paolo, 414 militari caddero nei combattimento, ma ci furono anche a combattere con loro e a morire, 156 civili morti e 27 donne che perirono portando soccorso ai feriti, aiuto ai combattenti; tra di esse una decorata di Medaglia di Argento al Valor Militare.122 furono le donne arrestate portate a Via Tasso e a Regina Coeli, di loro molte furono deportate in Germania. Dieci furono assassinate per le strade di Roma nelle dimostrazioni contro i rastrellamenti e negli assalti ai forni. Una fu, uccisa a Viale Giulio Cesare sotto la Caserma dell'81° fanteria, mentre con altre centinaia di donne reclamava la liberazione di duemila rastrellati costretti nella caserma, il suo nome è Teresa Gullace (Medaglia d'Oro al Valor Civile); un'altra in quello stesso giorno, 3 marzo 1944, fu uccisa sui gradini della chiesa di Piazza dei Quiriti. Otto donne furono fucilate davanti al mulino del forno Tesei a Ponte di ferro; sul luogo fu messa una lapide con i nomi, che attualmente è scomparsa. Un'altra fu uccisa nel cuore di Roma umbertina, la signora Calò Carducci, nel tentativo di impedire ai tedeschi, che avevano fatto irruzione nella sua casa, di arrestare suo figlio con un gruppo di militari da lei nascosti; un'altra ancora fu uccisa al Tiburtino Terzo, Maria Martinelli. Grande era la massa dei militari sbandati, bloccati a Roma nell'impossibilità di rifugiarsi a sud oltre la linea Gustav, per sfuggire alle fucilazioni o alla deportazione. Alto era il numero dei prigionieri di guerra inglesi, americani, francesi, fuggiti dai campi di prigionia bisognosi di essere nascosti, sfamati, vestiti. Alto era il numero dei funzionari, impiegati, lavoratori che, piuttosto che aderire al Governo della Repubblica fascista, si diedero alla macchia passando nelle file della Resistenza. Una massa di uomini, tutti con la pena capitale già emanata per bando dai nazisti e dai fascisti, che trovarono, fin dall'8 settembre, aiuto e salvezza, nel coraggio e nella determinazione delle donne romane. Roma aveva già subito bombardamenti, devastazioni, a San Lorenzo, al Tiburtino ecc.; la popolazione era stremata da tre anni di razionamenti; scarsi erano i rifornimenti per la distruzione delle vie di comunicazione e aver accolto oltre centocinquantamila profughi fuggiti dalle città distrutte del Garigliano, da Cassino a Latina, da Frascati e da tutta la costa laziale. Si disse dei romani che una metà di essi ospitava l'altra metà. Al primo momento di spontanea solidarietà e partecipazione, seguì il momento dell'organizzazione e, fu per l'esperienza e l'opera dei componenti, i partiti politici antifascisti, per la riorganizzazione dei militari nella clandestinità, con a capo il Colonnello Montezemolo, che riuscì creare una rete di collegamenti così efficiente da tener testa, alla perfetta macchina poliziesca, repressiva, micidiale dei nazisti. Le donne che provenivano dalla file dei partiti politici antifascista, molte delle quali uscite da pochi giorni dalle carceri, tornate dal confino nelle isole, decisero di formare un Comitato di Coordinamento per le attività di assistenza e di appoggio alle forze combattenti, civili e militari. Il Comitato era composto da donne di varie esperienze politiche. Alcuni nomi che ricordo: Clara Cannarsa, Adele Bei, Egle Gualdi, la Fancello, Maria Maggi, Ebe Riccio, la Ripa di Meana, la principessa Doria, Marcella Lapiccirella, Laura Lombardo Radice, Laura Garrone, Titina Maselli, Marisa Cinciari, la dott.ssa Fancello, le sorelle Bruni, la contessa Stelluti Scala ed altre. Il Comitato di Coordinamento, nato a Roma, possiamo dire che fu il primo abbozzo di quello che al Nord prese il nome di "Gruppi di difesa della donna", che organizzò più di settantamila donne, la gran parte delle quali, mai riconosciute né patriote né partigiane. Nacquero i comitati di zona negli otto quartieri in cui era stata divisa Roma dalle forze della Resistenza che si collegavano al centro per mezzo di giovani staffette. Molti e pesanti, sempre rischiosi, furono i compiti svolti nei nove mesi. Diffusione di volantini con gli appelli alla popolazione romana o alle donne stesse. La diffusione dei giornali; io stessa ho avuto in casa fino alla fine del mese di dicembre, il centro dello smistamento della stampa clandestina per la quarta forza di Roma, dei giornali del Partito Comunista (l'Unità) e del Partito D'azione, (Risorgimento Liberale), dei cattolici comunisti (La Voce operaia). Purtroppo a novembre fu individuata la tipografia di Via Basento dove furono arrestati Leone Ginzburg, Gastone e Manlio Rossi Doria, l'architetto Mario Fiorentino e tutti i tipografi. Erano quasi sempre le donne, che andavano e venivano, con i pacchi della stampa. I giornali dell'epoca avevano un solo foglio, di piccole dimensioni così da poterlo piegare e mettere in tasca o da poterlo infilare nelle buche delle lettere e sotto le saracinesche dei negozi. Alcune di queste postine sono divenute celebri: Titina Maselli, la Scialoia, Franca Angelini, Giovanna Ribet, Laura Garroni, (divenuta poi artificiere dei G.A.P., con il nome di Caterina), Marisa Cinciari, Anna Carrani (della Manifattura Tabacchi), Nanda Coari, Maddalena Accorinti, Marina Ghirelli (passata poi ai G.A.P.), la Signora Usiello (moglie di un barbiere di Via del Boschetto, che aveva la responsabilità della diffusione della stampa tra le botteghe della zona Monti). La Signora Perna, la signora Bruscani, Giuliana e Marcella De Francesco. Erano le donne che trasportavano le armi, nella borsa della spesa, attraverso, la città, che prelevavano i chiodi a tre punte dalle officine dell'A.T.A.G. del Prenestino, ritiravano gli spezzoni, prodotti nelle officine del GAS di San Paolo, che saranno usati per confezionare le bombe dagli artificieri Giorgio Labò, Gianfranco Mattei, Giulio Cortini, Laura Garrone, bombe che saranno usate negli attacchi ai nazisti di piazza Barberini, della stazione Termini, di Via Rasella, di Via Claudia, di Via dei Due Macelli e per decine di altre azioni. Sono le donne che si organizzano per assalire i forni ove si panifica il pane bianco per fascisti e nazisti. Gli assalti avvengono nei quartieri di Trionfale, Borgo Pio, Via Leone Quarto, davanti alla sede delle delegazione, per protestare contro la sospensione della distribuzione di patate e farina di latte. A guidarle in questi quartieri sono le sorelle De Angelis, Maddalena Accorinti ed altre. Sempre in Via Leone Quarto viene assalito il forno De Acutis, ma qui c'è il consenso dello steso proprietario, che distribuito il pane e la farina, si dà alla clandestinità. Altri assalti avvengono in Via Vespasiano, in Via Ottaviano, in Via Candia, al Tiburtino Terzo durante lo sciopero generale indetto per il 3 maggio, dove viene uccisa, dalla P.A.I., Maria Martinelli, madre di quattro bambini. Sono le donne che accompagnano i prigionieri fuggitivi fuori città per collegarli ai nuclei partigiani dei Castelli romani; a volte esse sono giovanissime come Gloria Chilanti (quattordici anni), che accompagnò un marinaio russo attraverso Roma, per metterlo in collegamento con i partigiani di Monterotondo. Ognuno fa quanto è necessario, con prudenza, con intelligenza, con astuzia, col cuore. A causa della mancata risposta dei romani all'appello nazista per il lavoro obbligatorio, iniziano ì rastrellamenti per le vie dei quartieri di Roma; il più massiccio fu quello condotto nel quartiere Quadraro durante la notte del 17 aprile 1944. Duemila uomini furono rastrellati, strappandoli letteralmente dal letto delle proprie case durante la notte; settecento di essi furono deportati in Germania. Iniziano gli imponenti arresti nelle file della Resistenza, tra cui molte donne: Elettra Pollastrini, Lina Trozzi, Vera Michelin, arrestate, sono condannati e deportate nel carcere duro in Austria. Carla Angelini, Bianca Bucciarelli, la signora Fontana e la signora Rodriguez, mogli di ufficiali dei Carabinieri, subiscono confronti crudeli, interrogatori durissimi; così Maria Teresa Regard, Iole Mancini, la Di Pillo e tante tante altre (122). Nessuna di esse ebbe un cedimento; furono, con il loro silenzio, le più dure e temíbili avversarie della macchina di morte nazi-fascista. Un esercito solidale, silenzioso, senza divisa, senza gradi, senza il “soldo”; un esercito di volontarie della libertà che restituirono senso, e valore al ruolo della donna nella società italiana, degradato ed offeso dalla teoria fascista che vedeva le donne solo come delle fattrici di figli per la patria. Si organizzano gli scioperi nelle fabbriche romane ove lavorano le donne; alla Manifattura Tabacchi è Anna Carrani che organizza le operaie; mi collego con lei, inviata da Adele Bei, per fissare le modalità, i tempi e le richieste sindacali. La riunione avviene in una piccola osteria vicino piazza Mastai, a Via della Luce, nell'intervallo del pranzo; si stabilisce di dare inizio allo sciopero con una sola ora di sospensione dal lavoro, senza uscire dalla Manifattura. Le richieste erano: aumento della razione del pane, indennità di bombardamento, aumento dei salario. Lo sciopero si organizza per il primo di Aprile; così anche alla Stacchini di Via Baccina ove le operaie formano una delegazione che avanza le stesse richieste. Sono avvertite le autorità fasciste e la prefettura, che intervengono promettendo i miglioramenti. Il secondo sciopero è il 3 maggio: ottocento operaie restano fuori della Manifattura Tabacchi per più di un'ora, per unire la loro protesta allo sciopero generale indetto per quel giorno, dal Comitato quadripartito. Lo sciopero generale del 3 maggio riuscì solo parzialmente; il successo maggiore si ebbe alla tipografia del "Il Messaggero", ove tutti gli operai si astennero dal lavoro. Il giornale usci con molto ritardo, stampato alla meglio da tipografi raccattati in altri giornali. Il direttore, Spampanato, si vendicò compiendo l'elenco degli assenti, che consegnò ai tedeschi; 19 operai furono arrestati. Scioperarono, anche se parzialmente, gli operai della Società Tudini e Talenti e del mattatoio. Non scioperarono i tranvieri perché i fascisti, forse avvertiti da qualche "delatore", mandarono le guardie repubblicane e truppe tedesche ad occupare i depositi, obbligando il 3 mattina, con minacce, i conducenti a riprendere il servizio e a far uscire tutte le vetture scortate da una guardia repubblichina. Furono organizzati in vari quartieri comizi volanti e lanci di manifestini a Piazza Fiume, a Largo Tassoni, a Piazzale Flaminio, a Piazza Bologna, al Quadraro e a Tesatccio. Gruppi di donne manifestanti tentano di bloccare i tram appoggiate dai G.A.P. che riescono, in qualche caso, a far saltare gli interruttori elettrici, bloccando il traffico tranviario. Altri assalti ai forni si verificano con successo a Montesacro, a Val Melaina e al Tiburtino Terzo, ove, come ho già accennato, Caterina Martinelli trovò la morte e la sua piccola figlia restò per sempre paralizzata. Gli scioperi dei 3 maggio, anche se parziali, conseguono un certo successo; c'è una distribuzione straordinaria di viveri, una serie di piccole concessioni sul lavoro e promesse di un aumento ai tipografi e alle tabacchine. In attesa della liberazione di Roma da parte degli Alleati, di cui si sente prossimo l'arrivo, per la rottura del fronte a Cassino, si organizza la sorveglianza ai ponti per impedire che vengano fatti saltare. Gli operai delle grosse aziende industriali formano turni di vigilanza sulle officine A.T..A.G., del gas, al mattatoio affinché non vengano distrutti i macchinari Importanti azioni sono compiute dai G.A.P. di zona dal 20 al 30 maggio. I componenti dei G.A.P. centrali, i superstiti dei massicci arresti avvenuti per la delazione di uno di essi (Gugliemo Blasi) sono inviati in provincia e a sud di Roma nelle zone prossime al fronte, per preparare l'insurrezione. Gli Alleati hanno promesso un "'Campo di lancio" con armi sul monte Gennaro (Tivoli) che sarà preannunciato da Radio Londra con la parola d'ordine "la neve è caduta". Il G.A.P. di Mario Fiorentini è, inviato a Tivoli, la gappista Lucia Ottobrini a Castel Madama con i partigiani comandati dal capitano Rocchi e dal tenente Gaudiosi. Il G.A.P. Pisacane di Bentívegna è incaricato del campo di lancio del monte Gennaro. Ricordo come partimmo quel pomeriggio, con due biciclette senza freni e gli zaini pesanti con dentro i fari elettrici. Eravamo diretti a Tivoli per collegarci con i partigiani di monte Gennaro, ma a Ponte Mammolo fummo bloccati da una colonna di carri armati tedeschi, che correvano verso Roma, seguiti da molti soldati appiedati. Fummo bloccati, tememmo per qualche momento di essere messi al muro non appena avessero scoperto il contenuto dei nostri zaini, ma si contentarono di rubarci una bicicletta. Prima di arrivare a Bagni di Tivoli incontrammo gli americani che spuntavano avanzando tra il grano alto e gli ulivi e che ci salutavano con i visi allegri e stanchi, con il medio e l'indice posti a "V", in segno di vittoria ... Ci abbracciammo felici e d'improvviso ci sentimmo cadere di dosso tutte le sofferenze, le angosce, la paura, la fame. Ci buttammo su quell'unica bicicletta, io sulla canna con lo zaino sul manubrio e Bentivegna a pedalare, per arrivare prima di loro e avvertire Gerratana che Tivoli era stata liberata e gli Alleati marciavano verso Roma. 

7 commenti:

  1. ...è UN GIORNO DA RICORDARE CON EMOZIONE PERCHè UOMINI E DONNE HANNO LOTTATO PER LA LIBERTà E LA GIUSTIZIA,VALORI CHE OGGI SEMBRANO "DIMENTICATI"

    RispondiElimina
  2. ...
    Un abbraccio forte

    Stefi

    RispondiElimina
  3. Questa è storia vera!
    Grazie Marina, ORA E SEMPRE VIVA LA RESISTENZA.
    Vengo fresco fresco(!!!) dal corteo
    Porta San Paolo - Piazza Vittorio a due passi da casa.
    Quanta bella gente!

    RispondiElimina
  4. Grazie Marina per queste testimonianze, bisogna sempre vigilare, perché i pericoli per la Costituzione e per le Libertà, ci sono sempre.
    Un abbraccio
    Sileno

    RispondiElimina
  5. buon 25 aprile Marina
    anche qui da noi all'estremo nord, dove i partigiani scesero dalle montagne dopo due anni di dure lotte, e tanti morti, abbiamo ricordato il giorno della liberazione con una bella cerimonia commovente
    un saluto erica

    RispondiElimina
  6. l'Italia tutta si è ribellata, e grazie a tanti eroi sconosciuti che si sono sacrificati oggi viviamo in democrazia...donne e uomini alla pari, uniti sotto lo stesso ideale. Buon 25 aprile

    RispondiElimina
  7. Non riusciranno a riscrivere la storia...
    Ora e sempre Resistenza!

    RispondiElimina

Non c'è niente di più anonimo di un Anonimo