martedì 6 ottobre 2009

l'ultima dea

Roma, Foro Olitorio: resti del tempio della Dea Speranza






Philip Roth: Indignazione - Einaudi 2009

"Cerca di essere più grande dei tuoi sentimenti. Non sono io che te lo chiedo, ma la vita. Altrimenti finirai spazzato via dai tuoi sentimenti. Spazzato via senza poter più tornare indietro. I sentimenti possono essere il più grande dei problemi. I sentimenti possono giocare gli scherzi più crudeli." (il corsivo non è mio)

Quando ho incontrato questa frase mi sono fermata. E l'ho riletta. Alzava tanta polvere dentro di me.
Mi sono interrogata: che cosa significa, realmente, essere più grande dei propri sentimenti?

Ho riletto un po' di definizioni su dizionari della lingua e su dizionari di filosofia, psicologia, psicanalisi. Evitando i tecnicismi, filosofi, psicologi e psicanalisti concordano, grosso modo, sul fatto che i sentimenti sono stati affettivi della coscienza, colorano, segnano, danno una particolare tonalità alle nostre sensazioni, ai nostri pensieri, alle nostre idee e alle nostre rappresentazioni. Dunque alle nostre scelte, alle nostre azioni, alle nostre condotte?

Quando si tratta di sentimenti a me piace rileggere il libro Teoria dei sentimenti di Agnes Heller. E' un lavoro di analisi vasto e profondo, che fa appello anche al corpus letterario. Benché sia un libro di trent'anni fa ha ancora moltissimo da insegnare.
Del resto la riflessione teorica sui sentimenti è ancora oggi ferma all'impostazione che ha avuto lungo tutto il secolo XX: ruota cioè intorno al rapporto tra sentimento e pensiero, fra sentimento e razionalità.

Sia che ci si disponga a credere il sentimento un fattore di disturbo dell'agire razionale rispetto allo scopo come in Freud (l'organo del pensiero o dell'agire razionale rispetto allo scopo è l'Io, assalito da due lati, dagli affetti-istinti (Es) da una parte e dalla "cultura morale" (Super-io) dall'altra); sia che, al contrario, sia il pensiero razionale a venir classificato fattore di disturbo come in Jung ("Niente tuttavia disturba tanto il sentimento quanto il pensiero"), sembra che questo nodo non possa essere in nessun modo sciolto. E che ci stringa sempre.

"L'uomo è certamente un'essenza unitaria", dice la Heller, "però la personalità è scissa."
"La personalità unitaria", dice ancora la Heller, "esiste solo come tendenza, e solo come eccezione."

Il nodo dunque riguarda ognuno di noi e ci accompagna nella nostra vita.

In questa contrapposizione il personaggio di Philip Roth (una madre che parla al figlio ventenne) sembra collocarsi sul versante del pensiero.
Ma non ciecamente direi. Non c'è disprezzo nelle sue parole, ma allarme.
La donna non dice al figlio di ignorare i suoi sentimenti, di negarli, di disprezzarli. Ma di stare in guardia. Non esprime una condanna ma un avvertimento. "I sentimenti possono giocare gli scherzi più crudeli".

E usa questa espressione così particolare: cerca di essere più grande dei tuoi sentimenti.

Come si fa ad essere più grandi di un nostro moto interno, forte, pulsante?
Come possiamo accogliere i nostri sentimenti ma non esserne in balia?
Rispettarli ma non farcene accecare?
Guidare noi, cioè il centro del nostro essere, la barca, senza derivare -andare alla deriva?

Ma il centro del nostro essere nella realtà non esiste, dice la Heller. E' solo un'aspirazione, una tendenza, una risultante mai fissata una volta per tutte.

La scissione dunque resta e noi, tirati da forze diverse, con sirene diverse che ci parlano con voci diverse, dobbiamo mantenere una rotta difficile.
Abbiamo uno scopo. Abbiamo di volta in volta molti scopi, ma abbiamo fondamentalmente uno scopo: essere noi e fare nostra la vita. (Non "fare la nostra vita", ché questo è semplicemente inevitabile).

Allora forse -forse- essere più grandi dei nostri sentimenti significa tenere l'occhio fisso allo scopo e dominare quei sentimenti che, malgrado una illusione di soddisfacimento immediato, ci allontanano dal nostro vero scopo: essere noi e fare nostra la vita.

Sì, penso che Philip Roth abbia inteso dire questo.

Ma che cosa accade se per riconoscerci, per sapere come è questo noi e qual è la vita davvero nostra, impieghiamo -e spesso accade- l'intera vita? O gran parte di essa?
In questo lungo, lento processo di chiarimento accade spesso che i sentimenti ci ingannino, ci distolgano dallo scopo o che a farlo siano invece quelle istanze interiorizzate, codici comportamentali e giudizi di valore, che troviamo pronti ad accoglierci alla nostra nascita -sì con papà Freud mi sento più a mio agio, pur con tutti i limiti imposti al suo pensiero da quasi un secolo di critica riflessione e ricerca-

A questo Philip Roth risponde: non potrai più tornare indietro.

Che cosa non darei per incontrare Philip Roth, per discutere per lui quel fenomeno per molti aspetti sorprendente, per cui, qualunque scoperta su di noi, anche se arrivata tardi, anche se dovesse inficiare gran parte del cammino della nostra vita, ci dà un senso di soddisfazione, di arricchimento, di crescita.
Come se di fronte a noi avessimo ancora tutta la vita davanti e le recenti scoperte potessero ancora modellarla e indirizzarla felicemente allo scopo.
O come se il vero rovello della nostra vita, più ancora che il raggiungimento dello scopo, fosse conoscerci, avere di noi stessi una più profonda consapevolezza e della nostra vita trascorsa una più profonda conoscenza.

O forse questo fenomeno si chiama semplicemente speranza. Ed è lei, l'ultima dea, a farcene dono.

16 commenti:

  1. Questo tuo post lo metterò in cornice, e ci voglio tanto riflettere su, non stiamo parlando di cose semplici, tra cui ci si possa addentrare senza metterci tantissimo impegno. Ne parli con la tua consueta perizia, ma sono certo di volerci aggiungere qualcosa che ancora non ho ben chiaro. Magari, aggiungerò un commento più propositivo tra una settimana o un mese, ho bisogno di tanto tempo...
    In fondo, quello che ti invidio è la tua capacità di coinvolgimento, tanti tuoi post attirano prepotentemente la mia attenzione.

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  2. così di botto mi verrebbe da dire che è vero che i sentimenti possono causarti dei bei grandi problemi, ma come vivere senza???? preferisco avere ogni tanto delle defaiance piuttosto che avere un cuore in inverno

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  3. p.s. meno male che ci sono le tue inezie
    è bello leggerti

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  4. ho trovato il tuo blog grazie a marilde
    l'ultima dea e christa wolf mi hanno fermato. ripasserò. il post è davvero "importante"
    un saluto
    monica

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  5. Non credo che la scissione faccia parte necessariamente del nostro vivere. Sarebbe come dire che siamo tutti schizofrenici, più o meno - e c'è chi lo dice, collocando teoricamente la scissione alla nascita. E' cosa diversa, dire scissione e dire dinamica, anche conflittuale ma dinamica, tra due o più tendenze: considerare l'uno che si spacca, che si divide, che si scinde in due o più parti può dare dei vantaggi di realismo in un sacco di situazioni, ma postulare questa condizione come originaria della condizione umana non è cosa né più utile né più vera del postulare una sanità originaria dell'essere umano che resta nella maggior parte dei casi il nucleo intimo d'ognuno. Guarire è tornare ad uno stato di salute precedente: penso che questo sia vero sempre, e che lo stato di salute precedente vada spesso nel prima della parola.

    Per quanto riguarda le parole di Roth, le indicazioni di Buddha, le cui analisi psicologiche furono di sistematica lucidità e finezza, vanno in quella direzione: infine, la possibilità di alleviare o uscire dal dolore umano sta proprio in quell'essere "più grandi" dei propri sentimenti - e non solo: più grandi delle proprie sensazioni, percezioni, idee, certezze.

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  6. Per quanto mi riguada penso che siano le emozioni ad essere veramente pericolose, parlo di quella sorta di cortocircuito tra la percezione della realtà e il nostro mondo interno. Di quelle “lingue di fuoco “ che ci avvolgono e ci fanno scambiare una parte per il tutto. Le emozioni dette anche “effetti speciali” di cui molti ragazzi hanno così bisogno per colmare lo spazio dell’anima lasciato vuoto dalla mancanza di quei sentimenti che generano, invece, consapevolezza e senso di sé.
    Con i sentimenti, si può dialogare, sempre che si sia interessati a questo tipo di dialogo, e si può arrivare a comprendere il loro significato più profondo. Capire se rappresentano la parte meritevole di noi o invece coprono le miserie di cui ognuno di noi porta il peso.
    Riuscire ad essere più grande dei propri sentimenti credo voglia dire provare e riprovare , partendo da sé, ad allargare l’orizzonte, fino a sentirsi una parte del tutto.
    ciao, simona

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  7. @tutti: rimando a domani la mia risposta ai vostri commenti. Intanto vi ringrazio
    marina

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  8. ci sono persone che hanno bisogno dell'intensità come pane quotidiano, Marina tu sei una di queste,
    il tema è così esteso che non saprei da che parte cominciare e onore a te che non ti arrendi nel cimentarti con tematiche molto complesse,
    l'unica cosa che posso fare è collegarmi alla speranza, condividendo con te/con voi questo mio haiku che di ogni giorno nostro, reso nostro, auspica ed augura che sia:

    una giornata
    di respiro e di vento
    e di speranza

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  9. oddio papavero è bellissimo! me lo scrivo e me lo attacco al computer!| grazie e grazie, marina

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  10. @rom: accetto le tue precisazioni ma no, la Heller non pensa affatto che noi siamo tutti schizofrenici, dice solo che il dualismo è insito in noi e che ci fa soffrire.
    L'espressione dinamica conflittuale che tu suggerisci va altrettanto bene, anche se, a me, sembra un po' pallida per dire la tragicità potenziale di questo conflitto.

    @lodolite:io non sono propensa a questa contrapposizione forte tra emozioni, pericolose, e sentimenti, benefici. Positi lo POSSONO essere entrambi, come entrambi possono fregarci. Un sentimento forse ci frega meglio perché più stabile, e più duraturo.ma sono solo ipotesi

    @papavero di campo: mi cimento con quello che mi si affaccia dentro, senza nessuna pretesa di scientificità, rispettando solo la correttezza dell'informazione; poi è chiaro che in mezzo ci si ficca la propria sensibilità...
    hai ragione da vendere sull'intensità :-)

    @zefirina: io non sostengo affatto che si debba fare a meno dei sentimenti, né lo potremmo; solo che vanno governati. Lo dico a partire proprio dalla mia tendenza a cavalcarli...

    @monica: benvenuta e grazie della visita. Grande accoglienza a chi si presenta nel nome di Christa Wolf !!

    @ vincenzo: io seguo solamente i miei pensieri, anzi più spesso, le mie domande. grazie per la tua attenzione. Se scriverai di questo tema sul tuo blog avvisami

    grazie a tutti, marina

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  11. Vorrei sapere perchè quando scrivi un post importante su temi psicologici lo leggo sempre in ritardo.
    Comunque contemporaneamente a questo tuo, ho scritto il mio post "Uomini e salmoni". L'immagine del salmone richiama chi rifugge dal vivere, cioè dal diventare sempre più consapevole di se stesso.
    Il proprio Sè, il proprio centro o come lo vogliamo chiamare, non è preconfezionato alla nascita. Noi lo costruiamo vivendo, vivendo il rapporto con gli altri e col nostro inconscio. Per questo non sono d'accordo con rom quando dice che guarire è tornare ad uno stato di salute precedente. A parte che non parlerei di guarigione ma di individuazione, cioè di maggiore coscienza di sè, mi pare che la vita non sia un risalire il corso della corrente, ma superare i problemi in avanti, non tornando indietro.
    Non si può tornare indietro.
    Io ho un paziente di quasi 80 anni che non ha mai amato, non si è mai accostato a un altro essere umano con umanità e solidarietà, ma sempre con paura di fare brutta figura e desiderio di piacere e di essere ammirato. Solo ora ha bucato le sue difese, riesce a presentarsi agli altri per quello che è, a relazionarsi con semplicità e umanità. Ha dovuto spendere tutta la vita a lottare contro i suoi problemi, ma è sempre andato avanti, non ha mai fatto il salmone, e ora, per la prima volta nella sua vita, ha davvero dei momenti di felicità e io sono felice con lui.
    Giorgio.

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  12. @giorgio: grazie per il tuo bel commento. La storia del paziente ottantenne è bellissima, anche io sono contenta per lui. E mi congratulo con te che hai saputo aiutarlo. La lenta scoperta di sé può durare davvero tutta la vita ed è la vera avventura umana
    un abbraccio, marina

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  13. ho letto con calma questo articolo. mi piace un sacco. nel senso che smuove altre riflessioni.
    sto conducendo una formazione psicomotoria per adulti, e ovviamente l'intrecciare corpo, azione, pensiero e ralazioni lascia parola e corpo anche alle emozioni...
    mi sembra che quanto dici, a proposito del teso di roth, e che non conosco, sia pertinente. per me e nel reale in quel essere più grande non c'è una scissione tra pensiero e sentimento ma una comunicazione, un dialogo, una necessità di distanziazione, di spostamento prospettico, perchè (si) i sentimenti non invadano troppo, non mostrino la loro faccia sino a celare gli accadimenti. vedo ti te ciò che sento, e alla fine non ti vedo.
    ma allo stesso direi del limite del pensiero, che finisce per usurpare il sentimento e la sua pienezza vitale e fisica, e che mi cela il reale.
    ma credo che questo stimono vada tenuto ancora per pensarci un pò. grazie monica.
    P.s. linko il post sul blog. spero non ti dispiaccia. merita di essere letto ... (in caso contrario fammelo sapere.. che lo cancellerò asap)

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  14. ciao Monica, grazie per il tuo commento: mi piace molto la tua lettura, mi convince pienamente. Riuscirci poi....
    linka pure :-)
    grazie, marina

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  15. ALQUANTO SUPERFICIALE
    ma provo a lasciare un segno.La Heller che io stimo profondamente disse anche che ogni individuo rappresenta il genere umano e il genere traspare in ogni individuo come un'"unità realizzata" se "socializzato" e integrato con la sua individualità.Personalmente credo che a costo di collezionare botte in testa e ferite al cuore,il sentimento deve essere l'unica vera molla che spinge a dare senso alla propria esistenza relazionata agli altri e come la più bella utopia da realizzare a cominciare da noi,dalla conoscenza coraggiosa di noi,dai piccoli gesti che riusciamo a fare imbevuti di noi e dalla gioia per poterli condividere non solo nella superficialità distratta che si può mettere in un "buon giorno" dato ma nella sincerità di poterlo spartire con gli occhi che proiettano l'emozione dell'incontro la semplicità nel godere di tutto.Così come ora lascio un'abbraccio a te.Bianca 2007

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  16. @Bianca 2007 Superficiale un corno! mi fa piacere incontrarti sulla Heller!
    ma circa i sentimenti, che tanto mi hanno dominata, io resto in guardia.
    marina

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