mercoledì 28 aprile 2010

martedì 27 aprile 2010

le trame di Annalisa

Atelier Schomber, via Tribuna di Campitelli 15, Roma
La mostra è visibile per appuntamento - 06 45432775 fino al 15 maggio

sono esistita per te?

Lo incontro sulla mia strada da almeno trent' anni. Credo che ora ne abbia quasi ottanta. La sua figura molto alta e magra ha sempre avuto un'andatura un po' incerta e il suo sguardo o si perdeva lontano o scrutava il suolo con circospezione.
Si faceva notare perché ogni giorno portava il gatto al giardino. Lo teneva in braccio, ma delicatamente, come si tiene un neonato e camminava del suo passo lento e strano, sollevando pochissimo i lunghi piedi dal suolo, verso il parco. Ci restava un'ora, anche d'inverno, e poi tornava indietro e riportava il gatto a casa. Poi dopo molti anni il gatto evidentemente morì e non l'ho più visto dirigersi verso il parco. Ma continuo a vederlo in giro nel quartiere. Vive nella mia stessa strada, non so esattamente dove, qualche palazzina più avanti e tiene la sua macchina nel mio stesso garage. Con il tempo il suo passo si è fatto molto più incerto, i piedi vengono un po' trascinati un po' spinti a forza di volontà. La figura è ancora molto alta ed eretta e lui continua a guardare lontano o in terra mentre avanza piano. Stamattina il cuore mi si è stretto per lui e per me. Per noi che ci incrociamo da trenta forse quarant' anni e non ci siamo mai salutati. Mi sono resa conto che non ho mai, mai incrociato il suo sguardo e dopo questi decenni questa cosa mi sembra inconcepibile. Mentre lo vedo avanzare verso di me mi sembra ormai inaccettabile non aver mai incontrato il suo sguardo. Rallento, rallento, aspetto che giunga alla mia altezza. E lo guardo fisso mentre lui guarda lontano e poi verso terra e trascina quei lunghi piedi e non si accorge di me.
Ma io mi fermo e lo aspetto e lo guardo bene in faccia. La conosco bene la sua faccia. È lunga, ossuta, lineamenti forti, labbra grosse e occhi un po' sbiaditi. Occhi che non si sono mai incontrati con i miei. Ma questo non è più tollerabile a questo punto.
Così lo guardo e lo guardo, ferma, e lui finalmente vede questo corpo al centro del suo cammino ed è costretto a guardarmi. Mi guarda perplesso, esitante. Lo saluto.
-Buongiorno- dico e vorrei poter aggiungere il suo nome ma non lo so.
-Buongiorno, come sta? Non risponde. È troppo sorpreso. Ma mi guarda, finalmente. Incontro lo sguardo dell'uomo che portava il gatto al giardino, infine. Non so ancora leggere nel suo sguardo, è la prima volta che lo incrocio ma il mio dice così: vedi? ti riconosco. So che esisti, so delle cose di te. So come sei stato e so come sei ora. Questo solo volevo dirti: che sei esistito per me. Sì, sei esistito per me. E io, io sono esistita per te?
Sorride, un sorride tremante come le braccia che nasconde dietro la schiena. Il suo sguardo, che mai aveva incontrato il mio, mi riconosce. Lo vedo chiaramente. Forse di me sa solo che uscivo con un cane pastore e poi con un altro. Non sa altro, ma sono esistita per lui, lo vedo.
-Bene, mi dice, grazie, sto bene. E lei?
Mi ha risposto! Vorrei abbracciarlo per la gioia. Ma rispondo semplicemente, mentre sorrido felice: -sto bene anche io, grazie.
-Bene fa lui, allora arrivederci.
E china la testa nel saluto.
-Arrivederci, annuisco anche io.
Gli cedo il passo e resto a guardarlo: il signore che portava il gatto al giardino ed io finalmente ci siamo guardati negli occhi e ci siamo riconosciuti. Ognuno ha riconosciuto l'altro, lo ha tirato fuori dal grigio opaco dei corpi che ci passano accanto quotidianamente e che sembrano non esistere per noi.
Che giornata!
Mi sento felice e stanca. Mi accorgo di aver avuto paura. Paura che mi respingesse tra quei corpi grigi che ci passano accanto e che sembrano non esistere per noi. E ho avuto paura che lui mi sfuggisse, che si rifiutasse di esistere per me.
La prossima volta che lo incontro gli voglio chiedere il nome, penso. Sì, farò proprio così.
E ora, un bel caffè.


lunedì 26 aprile 2010

il candore della logica

"Sapevo che non potevo lasciar perdere la signorina Cora tutto in una volta. In questi casi è importante usare dei riguardi....Sono rimasto tre giorni senza andare a trovarla, perché in questi casi bisogna diradare. Ma non ci dormivo la notte. Ho sempre desiderato d'essere un mascalzone che se ne fotte su tutta la linea e quando non sei un mascalzone è allora che ti senti un mascalzone, perché i veri mascalzoni non sentono proprio niente. Ne consegue che il solo modo di non sentirsi mascalzoni è di essere mascalzoni."
Romain Gary

domenica 25 aprile 2010

Porta San Paolo 1943-2010



Ore 11- Porta San Paolo. La banda della Scuola Popolare di Musica di Testaccio e il Coro di Giovanna Marini partecipano ai festeggiamenti per la Liberazione del 25 Aprile.



"QUI IL X SETTEMBRE MCMXLIII
-SUL LIMITE SEGNATO DA XVII SECOLI
DI DIFESA DAI BARBARI-
SOLDATI DI OGNI ARMA
CITTADINI DI OGNI CETO
GUIDATI SOLO DALLA FEDE
OPPONENDOSI AL TEDESCO INVASORE
ADDITARONO AGLI ITALIANI
LE VIE DELL'ONORE E DELLA LIBERTA'."

Quando l'8 settembre 1943 fu annunciato l'Armistizio i romani pensarono che i comandi militari avessero preparata la difesa della città contro i tedeschi. Invece il Re e Badoglio all'alba del 9 settembre abbandonarono Roma senza difesa e senza direttive per l'esercito.
Furono i cittadini, i militari delle divisioni Granatieri ed Ariete e i partigiani che, spontaneamente, tentarono di difendere la città con le armi. Uno degli episodi più importanti si svolse su questa piazza dove accorsero uomini e donne dai quartieri Garbatella, Testaccio, Ostiense e San Saba.
Nell'eroico ma inutile tentativo morirono 414 militari e 156 civili di cui 44 donne.




*Cliccando sulla foto è possibile leggere la lapide

non dimenticare

Buon 25 aprile!

sabato 24 aprile 2010

mai titolo fu più appropriato: contro il sentito dire

Lunedì 26 e martedì 27 aprile presso la Facoltà di Psicologia dell'Università "La Sapienza" di Roma (via dei Marsi, 78- Aula III) si terrà il Convegno "Contro il sentito dire- Omaggio alla memoria di Giovanni Jervis". Il Convegno, frutto di collaborazione tra la Facoltà di Medicina e quella di Psicologia, ha il seguente programma:



26 Aprile 2010 / 09:00-13:00

Indirizzi di saluto

Luigi Frati, Magnifico Rettore
Maria D’Alessio, Preside della Facoltà di psicologia
Luciana Rita Angeletti, Direttore della Sezione di storia della medicina

Ore 9:30
Relazione d’apertura
Luciano Mecacci: Giovanni Jervis, un intellettuale del secondo Novecento.
Chair: Giacomo Marramao

Ore 10:00 ‒ Discussione

Ore 10:15
Dialogo I: Sul ‘dizionario’ del Manuale critico di psichiatria.
Giovanni de Girolamo ‒ Stefano Mistura
Chair: Patrizia Guarnieri

Ore 11:15 Discussione

Ore 11:45
Psichiatria I
Luigi Onnis: Giovanni Jervis, coscienza critica della riforma psichiatrica italiana.
Leo Nahon: Jervis e Basaglia, psichiatria come scienza e psichiatria come arte.
Chair: Giovanni de Girolamo

Ore 12:45 Discussione


Ore 15:00

Patrizia Guarnieri: Presente e passato. L’interesse di Jervis per la storia nella psichiatria.
Vincenzo Caretti: Giovanni Jervis e l’antipsichiatria inglese.
Antonio Maria Ferro: Il pensiero di Giovani Jervis sulla relazione d’aiuto. Un importante contributo nella formazione degli operatori in psichiatria.
Chair: Paolo Migone

Ore 16:30 ‒ Discussione

Ore 17:00
Dialogo II: Ermeneutica e relativismo
Giacomo Marramao ‒ Mario Miegge
Chair: Alessandro Pagnini

Ore 18:00 ‒ Discussione

Martedì 27 aprile

Ore 9:00
Psicologia della società e della politica
Luigi Cavallaro: La società degli individui e i suoi dilemmi. Note a margine di “Individualismo e cooperazione”.
Gilberto Corbellini: Metodo scientifico, storia, evoluzione e laicità nella ricerca intellettuale di Giovanni Jervis.
Chair: Giorgio Bartolomei
Ore 10:00 ‒ Discussione

Ore 10:15
Psicoanalisi
Nino Dazzi: Il rapporto con la psicoanalisi nella prospettiva teorica di Giovanni Jervis.
Alessandro Pagnini: Jervis e l’epistemologia della psicoanalisi.
Chair: Vincenzo Caretti

Ore 11:15 ‒ Discussione


Ore 11:45
Psicoterapia
Giorgio Bartolomei: “La psicoanalisi come esercizio critico”, una rilettura del testo di Jervis sulla psicoanalisi come pratica terapeutica.
Paolo Migone: Il problema della pluralità dei metodi di ricerca sul processo in psicoterapia.
Chair: Nino Dazzi
Ore 12:45 ‒ Discussione


Ore 15:00
Psicologia clinica
Riccardo Williams: Corpo, relazione e patologia, il contributo di Jervis alla psicologia clinica.
Stefano Meacci: Pinocchio e l’identità mancata, il contributo di Jervis alla psicologia clinica del bambino.
Chair: Antonio Maria Ferro
Ore 16:00 ‒ Discussione

Ore 16:30
Il rapporto con Ernesto de Martino
Clara Gallini: Problematiche efficacie simboliche ‒ Con Ernesto de Martino sul terreno del tarantismo
Federico Leoni: La materia dell’umano. Jervis, De Martino, Callieri
Chair: Mario Miegge

Ore 17:30 ‒ Discussione

Ore 17:45
Filosofia della psicologia
Mario De Caro: L’illusione della volontà cosciente e il semicompatibilismo di Jervis.
Massimo Marraffa: Precarietà e malafede. Jervis sulle illusioni della soggettività autocosciente.
Chair: Gilberto Corbellini

Ore 18:45 ‒ Discussione

mandare a memoria...



Si dà il caso che io sia qui e guardi.

Sopra di me una farfalla bianca sbatte nell'aria

ali che sono solamente sue,

e sulle mani mi vola un'ombra,

non un'altra, non di altri, solo sua.

A tale vista mi abbandona sempre la certezza

che ciò che è importante

sia più importante di ciò che non lo è.

Wislawa Szymborska


I poeti mettono sempre il dito là dove gli altri non mettono neppure gli occhi. Fanno per noi un lavoro paziente e insostituibile. E noi? Che cosa facciamo noi? Noi possiamo semplicemente godere dei loro versi. Scaldarci al loro tepore o farci attraversare dalla loro lama fredda. Riposare nella loro bellezza. E poi, naturalmente, possiamo trasalire e riconoscerci. È quello che ci accade continuamente. Come un risveglio brusco che ci fa dire con gratitudine: sì. Sì, è così.

Ma anche questo non è tutto. Non basta. A me non è mai bastato. Cerco sempre nella poesia l'innesto del mio pensiero e possibilmente dell'azione. Forse è per questo che le poesie mi durano tanto dentro e che cerco di farle durare tanto.

Così questa poesia della Szymborska non mi dà solo il trasalimento del riconoscermi, ma la prendo anche come una voce da portare con me, un piccolo impedimento alla distrazione con cui guardiamo ciò che non è importante. Così ripeto, e imparo a memoria, gli ultimi tre versi di questa poesia:

"...mi abbandona sempre la certezza

che ciò che è importante

sia più importante di ciò che non lo è."



venerdì 23 aprile 2010

lascia fare alla sera


Erano intatte le sue energie
e tutte, tutte le metteva in gioco
-senza pesarle-
ora dovrebbe
sollevare una montagna
e le pesa in decimi di grammo.

Ma la sera le si accosta piano
le mormora qualcosa all'orecchio
e lei sospira
e lascia fare alla sera.


giovedì 22 aprile 2010

di ritorno da Fossanova

La giornata è stata faticosa ma molto bella. Cantare nella nuda immensità dell'Abbazia dà un certo non so che...
Il chiostro di Fossanova è stata una scoperta, non lo ricordavo affatto. È bellissimo, peccato che non fosse possibile entrarci. Se un chiostro non mi abbraccia per me quasi non è più un chiostro, perché se per gli studiosi di arte il chiostro è la successione di arcatelle e colonnine e di gallerie con le loro volte a botte, per me il chiostro è un luogo dell'anima. Ma di questo ho già parlato; perciò, per chi non lo ha letto segnalo il mio vecchio post qui.

mercoledì 21 aprile 2010

segnalazione delle segnalazioni!


Il 30 aprile prossimo esce il CD di Luigi Mariano "Asincrono". Io scalpito per acquistarlo...
Luigi lo presenta a noi fans così:
Cari amici,
tutti così numerosi e affettuosamente iscritti a questo “gruppo-newsletter” (siete già in mille e a Garibaldi bastò, per la sua impresa): ormai manca davvero poco.
Il 30 aprile, appena tra una decina di giorni, la mia lunga attesa (fatta negli anni di moltissimi "live", di scrittura, d’ascolto totale, di viaggi, di curve paraboliche e paranoiche!) durata per me più di 18 anni (la prima canzone è del ’92,mentre la prima “parentesi aperta” non me lo ricordo più: io aprivo parentesi già da poppante!), troverà la sua meravigliosa ricompensa (“My beautiful reward”, direbbe qualcuno) in questo mio primo disco chiamiamolo “ufficiale”, che si intitolerà, per forza di cose, ASINCRONO.
Beh, se ho iniziato a scrivere nel ’92 e pubblico solo ora nel 2010, un tantinello “asincrono” lo sono di sicuro, che ne dite…??
Questo tempo che ho non mi basta mica e non so stargli dietro.
E poi mi sento tutto “sfalsato” rispetto al mondo, agli andazzi generali, alla politica, ai ritmi forsennati, all’assuefazione mentale: è evidente, proprio. Quando gli altri piangono, io ho una voglia matta di vivere e di “trasferire energia positiva”. E quando gli altri ridono, spesso mi vien da piangere!
Ci sono cure? M’informerò meglio.
Poi… sono asincrono soprattutto rispetto….. a me stesso! Sì, a me stesso.
Il corpo (che, se non dorme, è un cencio vero: verba volant, occhiaie manent!) va a un decimo esatto della velocità della mente e a un centesimo di quella del cuore. Un disastro: è una lenta carcassa, 'sto corpo.
Tempo… tempo…. che ossessione…!! “Ah Marià, e dacce tregua”, direbbe un altro mio amico (romano), meno famoso del primo. Ok ok. Stop.

Su questo disco, sulle 13 canzoni che ne faranno parte, sul perché le ho scelte (tra oltre 70), sulla produzione in studio con Alberto Lombardi (un produttore molto eclettico e moderno, cosa che cercavo caparbiamente), sui vari amici-ospiti che ne faranno parte (Piji, Francesco Spaggiari, Marilena Catapano, “Areamag” Gabriele Ortenzi, Chiara Morucci, Daniele Sarno, Giulia Led e Nicco Verrienti) avrei molto da dire, ma non voglio… “farmi prendere la mano” come sempre.
Sintesi, Luis!! Mmm… ‘na parola…. Ce la farò? Già ho sforato. Io sforo sempre. Allora dai, cercherò di raccontarvi questo disco…. via via. Moh ho appena cominciato… ;-)

Per ora ribadisco ciò che penso da 20 anni e che ho ribadito pure oggi, in una webtv, a chi mi intervistava: ossia che la mia ambizione artistica più grande, oltre naturalmente a quella di “arrivare” davvero al cuore e alla mente di tutte le persone che un po’ mi amano e mi seguono, è di riuscire a essere sempre me stesso, ossia VERO e riconoscibile, al di là del genere che amo cantare, sia esso il folk-rock-tribale salentino dell’amico U’ Papadia, con cui ho duettato ieri sera al “Condominio Cantautori”, sia la bossa "semplificata e italianizzata” con cui (sempre ieri sera) ho accompagnato Chiara Morucci, sia esso il blues (che amo da sempre), sia esso il rock, sia esso il reggae, siano esse le rumbe messicane, le esplosioni bandistiche, sia il teatro-canzone, sia i “divertissement” (a cui non rinuncio!), sia il cantautorato classico, come quello modernissimo, eccetera. Libertà, ecco. Voglio essere libero, libero (e asincrono) come un… cantautore! Mettiamolo in chiaro una volta per tutte, così evitiamo di perdere tempo!!

Ho ancora molto da esplorare, camminare, ascoltare, sbagliare.
Mi piace poi scoprirmi ancora molto ingenuo nonostante tutto quello che ho imparato. Quando mi scopro ancora ingenuo, capisco che sto crescendo (questa segnatevela, m’è venuta moh!).

La festa di Laurea del 30 aprile è uno snodo importante, che mi emoziona, ed è per me altamente simbolico. Ve ne riparlerò, a breve.

Intanto, per chi non l’avesse già fatto, si può dare un’occhiata a questa simpatica intervista che m’ha fatto Giovanni Pirri, dopo una delle mitiche serate domenicali coi fratelli del “Condominio Cantautori”.
http://blog.allinfo.it/a-tu-peer-tu-con-luigi-mariano/


I quattro concerti di presentazione del disco, a maggio, saranno:

ROMA:
ven 30 aprile, “L’ASINO CHE VOLA”, via Cimarra
sab 29 maggio, “KEATON”, via Ravizza

BOLOGNA:
ven 14 maggio, “ZO’ CAFFE’”

FIRENZE:
gio 20 maggio, “UNPLUGGED”
ven 21 maggio, “OPERA ET GUSTO”

Ci saranno anche molte “ospitate” a Roma, in varie rassegne e spettacoli, in cui ovviamente potrete ascoltare qualche mio pezzo e anche acquistare il disco, ma senza però “gustarvi” il vero concerto.

“ospitate” romane:
6 maggio ospitata di 3 pezzi al “Keaton” d’Autore
24 maggio ospitata di 4 pezzi al “Garlic Show” del LianClub.

Vi ricordo infine che da maggio il mio disco sarà (finalmente!) in vendita anche nelle nostre indimenticabili domeniche-sera del “Condominio cantautori”, che fino al 9 maggio sarà all’ASINO CHE VOLA e poi il 16 maggio sarà in trasferta singola al “Circolo degli artisti”, per chiudere la stagione invernale.

Per ora è tutto, a presto con altre sensazioni.
Ora vado a "cercare" di dormire!

Armadi di abbracci
Hic!

Luis

martedì 20 aprile 2010

massimo fini, invidioso confesso

Un'altra aspra polemica sul tema della donna si è svolta sulla stampa recentemente, nata da un articolo di Massimo Fini.
Ecco l'articolo da Il fatto quotidiano (giornale di sinistra) del 27 marzo 2010

"Le donne sono una razza nemica. Bisognerebbe capirlo subito. Invece ci si mette una vita, quando non serve più. Mascherate da “sesso debole” sono quello forte. Attrezzate per partorire sono molto più robuste dell’uomo e vivono sette anni di più, anche se vanno in pensione prima. Hanno la lingua biforcuta. L’uomo è diretto, la donna trasversale. L’uomo è lineare, la donna serpentina. Per l’uomo la linea più breve per congiungere due punti è la retta, per la donna l’arabesco. Lei è insondabile, sfuggente, imprevedibile. Al suo confronto il maschio è un bambino elementare che, a parità di condizioni, lei si fa su come vuole. E se, nonostante tutto, si trova in difficoltà, allora ci sono le lacrime, eterno e impareggiabile strumento di seduzione, d’inganno e di ricatto femminile. Al primo singhiozzo bisognerebbe estrarre la pistola, invece ci si arrende senza condizioni.

Sul sesso hanno fondato il loro potere mettendoci dalla parte della domanda, anche se la cosa, a ben vedere, interessa e piace molto più a lei che a lui. Il suo godimento – quando le cose funzionano – è totale, il nostro solo settoriale, al limite mentale (“Hanno sempre da guadagnarci con quella loro bocca pelosa” scrive Sartre). La donna è baccante, orgiastica, dionisiaca, caotica, per lei nessuna regola, nessun principio può valere più di un istinto vitale. E quindi totalmente inaffidabile. Per questo, per secoli o millenni, l’uomo ha cercato di irreggimentarla, di circoscriverla, di limitarla, perché nessuna società regolata può basarsi sul caso (n.d.r forse voleva scrivere caos?) femminile. Ma adesso che si sono finalmente “liberate” sono diventate davvero insopportabili.

Sono micragnose, burocratiche, causidiche su ogni loro preteso diritto. Han perso, per qualche carrieruccia da segretaria, ogni femminilità, ogni dolcezza, ogni istinto materno nei confronti del marito o compagno che sia, e spesso anche dei figli quando si degnano ancora di farli. Stan lì a “chiagne” ogni momento sulla loro condizione di inferiorità e sono piene zeppe di privilegi, a cominciare dal diritto di famiglia dove, nel 95% dei casi di separazione, si tengono figli e casa, mentre il marito è l’unico soggetto che può essere sbattuto da un giorno all’altro sulla strada. E pretendono da costui, ridotto a un bilocale al Pilastro, alla Garbatella, a Sesto San Giovanni, lo stesso tenore di vita di prima.

Non fan che provocare, sculando in bikini, in tanga, in mini (“si vede tutto e di più” cantano gli 883), ma se in ufficio le fai un’innocente carezza sui capelli è già molestia sessuale, se dopo che ti ha dato il suo cellulare la chiami due volte è già stalking, se in strada, vedendola passare con aria imperiale, le fai un fischio, cosa di cui dovrebbero essere solo contente e che rimpiangeranno quando non accadrà più, siamo già ai limiti dello stupro. Basta.
Meglio soddisfarsi da soli dietro una siepe.

(Dopo la comparsa di questo articolo molte donne hanno scritto al Fatto Quotidiano dichiarando che non lo avrebbero più acquistato.)

Questa è la replica di Massimo Fini alle lettrici incavolate
"Ho scritto che le donne “sono una razza nemica”. Non mi sono mai sognato di dire che siano inferiori a chicchessia. Se la lettrice Cristina Di Bortolo avesse letto il mio articolo con “un minimo di cervello” avrebbe capito che, al contrario, considero la donna, meglio: la femmina, molto più vitale del maschio. È lei, che procrea, la protagonista del gran gioco della vita (quello reale, non quello virtuale) mentre il maschio è un fuoco malinconico e transeunte animato da un oscuro istinto di morte (“La donna è orgiastica, baccante, dionisiaca, caotica, per lei nessuna regola, nessun principio può valere più di un istinto vitale”). La donna è la vita, l’uomo è la legge, la regola, il rigore, la morte (il contrasto tra Antigone e Creonte in Sofocle). Non a caso nella tradizione kabbalistica, e peraltro anche in Platone, quando l’Essere primigenio, dopo la caduta, si scinde in due la Donna viene definita “la Vita” o “la Vivente” mentre l’Uomo è colui che “è escluso dall’Albero della Vita”. È per riempire questo vuoto, per sopperire a questa impotenza procreativa (“l’invidia del pene” è una sciocchezza freudiana), che l’uomo si è inventato di tutto, la letteratura, la filosofia, la scienza, il diritto, il gioco regolato e il gioco di tutti i giochi, la guerra, che però oggi ha perso quasi tutto il suo fascino perché affidata alle macchine e anche perché in campo han voluto entrare pure le stronzette che pretendono di fare i soldati e vogliono fare, con i loro foularini, le corrispondenti di guerra (Ma state a casa, cretine, a fare figli. L’interesse della donna per la guerra è una perversione degli istinti. La donna, che dà la vita, non ha mai amato questo gioco di morte, tipicamente maschile. Ma ormai così è: le più assatanate guerrafondaie di questi ultimi anni sono state la Albright, Emma Bonino e quella pseudodonna e pseudonera di Condoleezza Rice). Della vitalità della donna fa parte anche la sua curiosità. Che può avere conseguenze catastrofiche. Ma è mai possibile che con tutte le mele che c’erano lei sia andata a mangiare proprio quella che Domineiddio aveva proibito? (da lì sono cominciati tutti i nostri guai, porca Eva). Comunque sia è vero cheda quando si sono “liberate” si sono appiattite sul maschile, diventandone una parodia, e insieme alla femminilità hanno perso anche il loro fiore più falso e più bello, il pudore, per il quale valeva la pena, appunto, di corteggiarle. Han perso la sapienza delle loro nonne alle quali bastava far intravedere la caviglia. Rivestitevi, sciocchine. All’uomo non interessa la vostra nudità, ma scartocciare, lentamente, la colorata e inquietante caramella anche se, alla fine, c’è sempre la solita, deludente, cosa. In quanto a Lisistrata, cara Truzzi, il suo sciopero del sesso fallì completamente. Perché le spose dei guerrieri continuarono a fare i consueti lavori di casa. Essere accuditi senza nemmeno avere l’obbligo di scoparle: l’Eden ritrovato. Inoltre ogni maschio bennato di fronte alla scelta fra la donna e la guerra non ha dubbi: sceglie la guerra (e persino il calcio, che ne è una metafora). La lettrice Roberta Pesole mi confonde con quei nove milioni di uomini che, dice, vanno a puttane. Posso rassicurarla, nel mio “Di(zion)ario erotico-Manuale contro la donna a favore della femmina” ho scritto “pagare una donna per fare l’amore, c’è qualcosa di più insensato? Ma come, io faccio la fatica di scoparti e ti devo pure pagare? Ma siamo diventati matti?”. Infine nella mia vita ho conosciuto molte donne intelligenti, ironiche e anche autoironiche. Ma nessuna che non fosse permalosa. Come la valanga di insulti che mi è stata rovesciata addosso dimostra."

QUANTO A ME: appena letto il primo periodo, "Le donne sono UNA RAZZA nemica", mi sono incazzata. Una razza???? Poi, andando avanti lungo la noiosa sequela di luoghi comuni, ho pensato che un tale livore si spiega solo con ragioni personali molto delicate e l'ultimo periodo "meglio soddisfarsi da soli dietro una siepe" mi ha dato infine ragione. Infatti, se quello che Fini dice delle donne potrebbe tranquillamente essere archiviato nel banale più scadente, quello che dice implicitamente di sé (il sesso interessa e piace molto più a lei che a lui; e più avanti: "Han perso....ogni istinto materno nei confronti del marito o compagno") parla di un modo di vivere il rapporto con una donna davvero interessante per uno psicologo.
Eppure all'interno delle banalità livorose, espresse con un linguaggio inutilmente aggressivo e insultante, c'è almeno un pensiero su cui vale la pena riflettere: "da quando si sono "liberate" le donne si sono appiattite sul maschile" dice Fini.
Questo appiattimento sul maschile non è una scoperta di Fini, sono molte le donne che lo denunciano. Ma nella prima parte della sua proposizione Fini sbaglia radicalmente, secondo me: è proprio perché non si sono liberate che molte si sono appiattite sul maschile. Perché non riescono a riconoscere valore alla loro stessa natura che è, sì, vitalità e istinto, forza della vita. Forza che dall'inizio della storia ha spaventato l'uomo, il quale si è impegnato a fondo per costruire una società che imbrigliasse quella forza e spostasse l'asse del valore dalla forza di creare alla forza tout court. Ma la donna non è solo vitalità e istinto. È questo, credo, che fa infuriare gli uomini, il fatto che la donna si sia spostata, lungo l'evoluzione culturale, su un terreno che l'uomo si era riservato, quello dell'analisi ragionata della realtà. (Sui procedimenti di pensiero-emotivo con cui la donna esamina la realtà potremmo a parte parlare a lungo). Gli uomini hanno dovuto accettare (giacché non potevano fare altrimenti) che fosse la donna a dare la vita, che la custodisse nel suo corpo, ma su questo riconoscimento obbligato hanno fissato il confine: esaltando esclusivamente la sua funzione materna ve l'hanno voluta relegare. Quando la donna (la cui evoluzione culturale, sempre a mio avviso, è stata infinitamente maggiore della corrispondente evoluzione maschile) non solo ha potuto regolare la sua funzione riproduttiva, ma ha rifiutato la riduzione della sua persona alla sola funzione riproduttiva, il conflitto è diventato feroce. E dico feroce nel suo senso letterale. Sul piano di questo conflitto uomini e donne infatti indietreggiano e tornano belve.
Il rischio, per la donna che rivendica una dimensione globale della sua persona, è quello di precipitare nella imitazione del modello maschile, di abbracciarlo come scorciatoia verso la sua affermazione sul palcoscenico della società. In questa trasformazione illusoria (perché l'uomo vigila spietatamente sui suoi domini) la donna rischia di reprimere o addirittura perdere le sue principali caratteristiche di genere: il suo legame con la vita, la sua spinta al suo accudimento e alla sua protezione, la sua forza seduttiva, la sua vitalità e il legame profondo con le sorgenti emotive dell'agire. Significa che allora bisogna restare sempre attaccate alla scelta di maternità, che essa dev'essere destino? Che al di fuori della maternità la donna non abbia valore? Il più radicale dei no va opposto, secondo me, a questa pretesa,ogni volta che si affaccia, comunque sia mascherata. Ma certo non significa coprire di autodistruttivo disprezzo la nostra natura stessa e i modi in cui si esprime.
Mi chiedevo giorni fa', parlando con mia figlia, chi avesse creato quelle pubblicità che ci invitano a fornirci di assorbenti, di ogni forma e natura, in ogni giorno del mese. Ci sono quelli per i giorni della mestruazione, graduati in spessori e dimensioni diverse, quelli per i giorni d'intervallo, quelli contro il nostro perenne "cattivo odore". C'è un così forte svilimento di un fenomeno fisico che dovrebbe coprirci di meraviglia, un disprezzo così mortificante per la più importante funzione della specie, che il mio sangue bolle ogni volta che mi passano davanti agli occhi. Siamo ancora al sangue mestruale come vergogna! E le donne lo accettano e s'imbracano trenta giorni su trenta! Da che cosa ci vogliamo monde? Dalla nostra stessa natura? E accettiamo di guardarla con occhi maschili? Con sguardi atavici?
Io so che tutte le rivoluzioni precipitano temporaneamente negli eccessi della realtà opposta a quella che hanno combattuta e la mia speranza risiede solo in questo: che la rivoluzione che le donne della mia generazione hanno affrontato debba trovare ancora il suo punto di equilibrio, che i vistosi passi indietro che riscontro nelle donne siano solo fraintendimenti o tentativi di trovare altre strade e che le donne non siano state prese da una furia autodistruttiva.
Sì, ci sono giorni in cui le osservo spaventata, preoccupata, furiosa anche. Ma resiste tenace dentro di me la mia fiducia in noi donne, nella nostra capacità di risorgere sempre, di riattingere forza e vita nel profondo del nostro essere, di cambiare, di trasformarci, di evolvere, una caratteristica questa davvero nostra. Del resto il movimento delle donne, in ogni luogo e tempo, è sempre stato carsico.
Quanto a Fini, credo che al fondo del suo intervento, così sgradevole nella forma, si agiti la sua profonda invidia per le donne, per altro non celata. E, per analogia, mi fa sorridere, una volta di più, la famosa idea freudiana dell'invidia del pene. La più grande topica (solo topica?avrei voglia di analizzare freudianamente Freud) di papà Freud. (Come del resto correttamente Fini riconosce).
Massimo Fini non mi piace; non lo apprezzo come scrittore e detesto il suo stile di polemista (tanto che non gli replicherò punto per punto causa l'eccessiva volgarità del suo modo di esprimersi). Ma lo ringrazio perché ha offerto a noi donne un'ulteriore occasione di riflettere su di noi.
Credo che la riflessione debba includere il disagio maschile di questi anni, l'insoddisfazione di uomini e donne, le delusioni che reciprocamente si infliggono in una ricerca, per ora insoddisfatta, di un rapporto meno crudele.

N.B. La mia ricostruzione storica, per di più stringata e superficiale, non è un giudizio universale su ogni uomo della terra. In questo equivoco (spesso avanzato da qualche uomo per un istinto di autodifesa) vorrei che i miei lettori non cadessero.

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Come eccezione al modo in cui la donna è trattata dalla pubblicità segnalo queste pubblicità che sono comparse sul settimanale Grazia. Sono state ideate da diverse agenzie creative e si segnalano per l'intento di trattare, in modo spiritoso ed efficace, temi femminili.

Le potete vedere QUI

lunedì 19 aprile 2010

segnalazioni/yoga!

La mia amica Mariateresa sta organizzando un seminario intensivo di yoga, metodo Iyengar®, che si terrà presso l'Azienda Agro Bio-forestale ed Agrituristica di Monterosello (www.monterosello.it - Frazione di San Maiano - Città Di Castello - Località Seripole, Vocabolo Monterosello, Perugia) dal 14 al 18 luglio 2010.

Ecco il programma:

il Corso si articolerà in cinque lezioni mattutine, dalle 09:00 alle 12:00, dal mercoledì 14 alla domenica 18, seguite da un sostanzioso brunch, e quattro lezioni pomeridiane dalle 17:30 alle 19:30 dal mercoledì al sabato. Il tempo tra la pratica mattutina e quella serale potrà essere speso in piscina, passeggiando, leggendo e riposando, facendo un bagno nel laghetto o un salto a Città di Castello. La sera, chi lo desidera, potrà cenare presso l'Agriturismo previa prenotazione. Per poter essere presenti alla prima lezione delle 09:00 di mercoledì, sarà necessario arrivare martedì 13. La sera si cenerà tutti assieme presso il Casale Ciarafieri, anche per avere l'occasione di fare conoscenza.

Il seminario, per la sua natura intensiva, si rivolge a coloro che abbiano effettuato almeno un anno di pratica yoga regolare, fino a un massimo di 15 partecipanti.

Insegnanti:
Maddalena Gana - Laureata in Lettere e Filosofia, vive e lavora a Roma come danzatrice e insegnante di yoga.Inizia la pratica yoga, metodo Iyengar, nel 1995 presso il centro Dharma di Roma. Segue negli anni numerosi seminari in Italia e in Francia, studiando in particolare con Faeq Biria. Dal 2003 al 2006 frequenta il corso di formazione tenuto da Anna Frinolli presso il centro Dharma e si diploma nel 2007 come insegnante
livello Introductory II di Iyengar yoga. Nell'estate del 2008 frequenta per un mese i corsi tenuti da Geeta e Prashant Iyengar presso il Ramamani Iyengar Memo­rial Yoga Institute di Pune, India.

Camilla Triolo - Pratica yoga da più di tredici anni e nel 2006 si diploma insegnante livello Introductory II di Iyengar yoga. Dal 2004 al 2006, frequenta anche la Scuola Italiana Shiatsu e diventa terapista shiatsu, formazione che approfondisce ulteriormente nel 2007 con vari stages interna­zionali e continui aggior­namenti.
Recentemente (2007) ha iniziato il percorso di formazione di Polestar Pilates Matwork per diventare insegnante di Pilates.

Cosa portare: oltre ad un abbigliamento comodo, adatto alla pratica, ogni partecipante dovrà avere un tappetino, tre coperte, una cinghia ed un mattone. Chi avesse difficoltà a procurarsi tali materiali, lo faccia presente al momento della registrazione.

Costi: la partecipazione al Corso (per un totale di ventitre ore) è di euro 250,00. Il pernottamento, comprensivo del brunch, dell'uso della piscina e di tutte le altre attività offerte dall'Agriturismo, è di euro 50,00 a persona in camera doppia. Sono inoltre disponibili anche mini-appartamenti per chi desiderasse venire con la famiglia o altri accompagnatori (i cui costi e disponibilità verranno forniti su richiesta), nonché spazi per la sistemazione in tenda o camper. Gli animali sono i benvenuti!!! La cena (se si desidera cenare a Monterosello) prevede menu a prezzo fisso di € 20,00: due primi, secondo, contorno e dolce, vino biologico incluso).

Contatti: Mariateresa sul cellulare (3476525019) oppure per e-mail (mc1002@mclink.it)

dipanando-dipanando/tre


Libero dipanare dal più recente post di Arnica Montana, uno di quei post che sembrano leggeri e invece contengono un paio di tonnellate di pensiero.
È da questa sua frase che sono partita:
"Ogni tanto ho bisogno di accertarmi che non sono quella che non vorrei essere..."

L'ho fatta mia, stravolgendola un po'. Ed è diventata più o meno: preferisco pensare il peggio di me, pensare di essere proprio quella che non vorrei essere, piuttosto che scoprirlo all'improvviso. Preferisco stare in guardia e diffidare di me.
Aggiungo, perché il dipanare è libero e erratico, che preferisco diffidare di me piuttosto che diffidare degli altri. No, non per effetto di una squisita moralità, ma perché diffidare degli altri mi fa sentire insicura, esposta, vacillante, ansiosa.
Mi arrivano delle volte segnali appena percettibili, piccoli avvisi di qualche tratto caratteriale o di qualche intenzione altrui poco favorevole all'amicizia. Ma io li scaccio, come ombre. Non voglio ascoltarli e cerco di spiegarmeli con contingenze varie, sempre innocenti. Non che io sia generosa, no. Ma ho bisogno di credere all'innocenza altrui. Solo così posso entrare nei rapporti, altrimenti me ne dovrei tener sempre fuori perché è troppo faticoso star sempre a proteggersi, a difendersi.
Certo, può accadere che la persona di cui non avevo diffidato, improvvisamente mi si sveli davvero non amicabile e che io sia costretta a rinfoderare le spiegazioni indulgenti che mi ero data per certi suoi comportamenti.
Si resta male, sì. Ma io ho imparato a riprendermi da questo tipo di delusione.
Mentre deludere me stessa -che mi sembra sia quello che preoccupa anche Arnica- no, questo mi pesa troppo. Probabilmente si tratta solo di orgoglio e presunzione, ma tant'è. E comunque riprendermi dalle delusioni che posso infliggermi è troppo difficile.
Per cui, piuttosto che accertarmi ogni tanto di non essere quella che non vorrei essere, penso sempre di esserlo e mi regalo la piacevole soddisfazione, ogni tanto, di sentirmi contenta di me, di scoprire che no, non sono quella che non vorrei essere. Grazie, Arnica e scusa se ho incasinato il tutto.

domenica 18 aprile 2010

evviva!

I tre volontari di Emergency sono








ridendo e scherzando...

Mi ero dimenticata di autofesteggiare il mio blog, che, ridendo e scherzando, ha compiuto tre anni. Infatti è nato il 9 aprile del 2007.
Complessivamente ne sono abbastanza contenta. Mi sembra che abbia accompagnato con sufficiente fedeltà il mio stare nel mondo di questi tre anni; il che poi, la fedeltà a me stessa intendo, è quello che più mi preme. Naturalmente questo comporta che dentro vi sia del ben fatto e del malfatto, che vi sia questo e quello e magari il loro contrario, ma è così che sono fatta e il blog non poteva essere granché diverso da me.
Malgrado il mio blog sia solo una creatura ridicolmente piccola nel mondo vastissimo del web ha comunque rivestito per me una grande importanza e un senso che spiegavo in un vecchissimo post che mi permetto di riportare ora.

Scrivevo dunque:
"Bambina non prodigio, ho imparato a scrivere a sei anni, come tutti ai miei tempi. Da subito questa operazione mi è parsa fantastica. La cosa più bella che mi fosse capitata dalla nascita in poi. Alle elementari la mia bulimìa di scrivere trovava sfogo nello svolgere due volte, in forma diversa, ogni tema che la maestra ci assegnava. O nel tenere un quaderno casalingo su cui segnavo piccoli, ingenui pensieri. Il quaderno è andato perduto. Molti temi, bi-svolti, li ho ancora, conservati da una madre così conservatrice che mi ha passato la follia selvaggia di conservare anche il cordone ombelicale di mia figlia. (Questo non ditelo a nessuno).
Comunque, una volta cominciato a scrivere, non ho più smesso. Sono passata, classicamente, al diario personale. Accompagnato, dagli otto anni in poi, da piccoli racconti. E poi poesie e poi commedie e tragedie addirittura e abbozzi di romanzi e via così...
Tutta la mia intera vita. Naturalmente, anche al più ottuso degli osservatori, appare evidente che tutto questo bisogno di scrivere è legato, a doppio filo, con un analogo bisogno di comunicare.
Per ragioni che qui non interessano, la scrittura però è sempre restata segreta. La storia delle pochissime persone (due) e circostanze in cui ho lasciato leggere le mie parole a qualcuno, non riempirebbe una pagina. O, al contrario, riempirebbe un volume di emozioni e riflessioni. Questa segretezza ha comportato per me un bel po’ di sofferenza. Oggi rimpiango il gesto, con cui ho distrutto tutto quello che avevo scritto fino allora. L'ho compiuto all'età di quarantotto anni, in un momento in cui sentivo il bisogno di cancellare me ed ogni traccia del mio passaggio su questa terra. Non sono andati perduti dei capolavori letterari, s'intende, ma le testimonianze del mio amore incondizionato e segreto per la scrittura e un bel pezzo della mia vita. Ma lasciamo perdere le perdite.
Un giorno poi, ho avuto sessantatré anni. E ho preso atto che un cambiamento era necessario. Ho deciso che, poiché ero così fortunata da vivere in un’epoca che mi metteva a disposizione questo mezzo straordinario per far leggere le mie parole senza dovermi esporre personalmente, ne avrei approfittato.
Ecco, il mio blog è nato così. Risponde al mio bisogno di capovolgere un’abitudine di vita, l'occultamento per mancanza di autostima di una parte di me, che disapprovo profondamente. Che non mi vede concorde, che mi fa dannare, che mi manda ai matti, che odio, detesto, disprezzo e spregio, che....
Basta, dovrebbe essere sufficiente a far capire quanto abbia pesato sulla mia vita questa segretezza su una pratica che è sempre stata al centro della mia esistenza.
Il blog è stato un primo passo. Il secondo passo è stato uscire dall’ombra relativa, mettendo una mia foto. Diciamo che la decisione di non metterla, all’inizio, era un’altra forma di segretezza. Abbandonata anche questa. Mi sento più leggera. Davvero.
In parallelo, altri passi ho compiuto. Piccoli, forse ridicoli. Non per me.
Io mi so. E sono molto, molto contenta di me."

Scrivevo così e sento di poter confermaree ancora quanto scritto allora.
Il blog ha esplicato la sua funzione fino a darmi il coraggio di affidare al web il mio libro. (Piccola parentesi, dietro le indicazioni di Guglielmo, che ringrazio di cuore, mi sono accorta dei diversi errori che lo costellano. Provvederò a eliminarli in una nuova edizione e intanto me ne scuso). Naturalmente nel corso di questi tre anni il senso che il blog ha per me si è arricchito e, pur conservando il suo nucleo forte, ha subito delle trasformazioni. Suppongo che ne subirà altre. Bene, io starò a vedere e spero che molti di voi lettori, che ringrazio e torno a ringraziare fuori da ogni blandizie e da ogni retorica, staranno a vedere con me.
Voilà, fatto! Fine dell'autofesteggiamento.


Marina Velca- 2008

sabato 17 aprile 2010

cesarismo

Citazione offerta da Saint Just in un suo commento. Grazie.

"Sant’Ilario di Poitier già nel sec. IV metteva in guardia dalle lusinghe e dai regali dell’imperatore Costanzo, il Berlusconi cesarista di turno:

«Noi non abbiamo più un imperatore anticristiano che ci perseguita, ma dobbiamo lottare contro un persecutore ancora più insidioso, un nemico che lusinga; non ci flagella la schiena ma ci accarezza il ventre; non ci confisca i beni (dandoci così la vita), ma ci arricchisce per darci la morte; non ci spinge verso la libertà mettendoci in carcere, ma verso la schiavitù invitandoci e onorandoci nel palazzo; non ci colpisce il corpo, ma prende possesso del cuore; non ci taglia la testa con la spada, ma ci uccide l’anima con il denaro» (Ilario di Poitiers, Contro l’imperatore Costanzo 5)."

preparando il concerto di Fossanova




venerdì 16 aprile 2010

amare l'insuccesso


Gabeba Baderoon , poetessa sud-africana, insegna letteratura afro-americana all'Università di Pennsylvania. È una delle nuove voci della poesia anglofona, una voce elegante e sommessa, senza lirismi forti che parla dei destini individuali e degli affetti familiari con contenuta partecipazione.


I CANNOT MYSELF
To come to this country,
my body must assemble itself
into photographs and signatures.
Among them they will search for me.
I must leave behind all uncertainties.
I cannot myself be a question.

NON POSSO IO STESSA
Per venire in questo paese,
il mio corpo deve ricomporsi
in firme e fotografie.
È tra queste che mi cercheranno.
Devo abbandonare ogni incertezza.
Non posso io stessa essere una domanda.


IMPARARE AD AMARE L'INSUCCESSO
Due rondini precipitano
come fogli accartocciati
uno dietro l'altro.
L'obiettivo non riesce
a trovare il punto
dove la vita volerà dall'apertura.
Intanto le rondini cadono
dal cielo come due lune crescenti.

Code che fuggono in un angolo di vuoto
scappano dall'inquadratura,
chi fotografa le rondini
deve imparare ad amare l'insuccesso,
poiché quel quasi che ottiene
è la cosa vera.

traduzione di Paola Splendore
Paola Splendore ha curato la raccolta "Passaggi a ovest. Poesia femminile anglofona della migrazione. Palomar 2008


giovedì 15 aprile 2010

dipanando-dipanando/due


I rimandi e le "tangenti estrose" di pensiero (come le chiama lei) tra Tereza e me sono ormai una costante.
Letto il mio post con l'articolo di Sofsky sulla riservatezza Tereza ci è saltata agilmente sopra e, dipanando-dipanando, ha prodotto un post di cui pubblico qui solo qualche stralcio, consigliandovene la lettura integrale.

dice Tereza: "Galimberti mostrava tutta la nefandezza della moderna equazione: mostrare tutto di sé= massima sincerità e dunque spontaneità= AFFIDABILITà e, confutando quella tesi sciocca e volgarissima, dimostrava il valore della privatezza come simbolo dell'aver qualcosa da difendere e da proporre, un'anima appunto.
Ma Marina mi ha fatto ripensare anche alla parola alla quale vengo più spesso abbinata dalle persone che mi conoscono: la riservatezza.
Non vi nascondo che spesso ho avvertito in questa definizione un senso di ostilità, di cattivo-retro-pensiero, di diffidenza, un: “questa avrà qualcosa da nascondere”.


Poiché stiamo dipanando pensieri in buon disordine, dirò quello che il Professore disse a me e di me. "Lei non è una persona aperta. È una persona diretta." E naturalmente aveva ragione.
Malgrado l'apparenza io sono una persona riservata. Do tranquillamente in giro parti di me che considero ininfluenti. La mia identità anagrafica, fatti della mia vita, lo stato della mia salute (ma in questo c'è una profonda intenzionalità) ecc.
Anche pensieri e riflessioni e, in questa fase della mia vita, udite udite, persino i miei piccoli scritti. Ma salvaguardo un nucleo più intimo.
Diciamo che io semino tracce (cui ritengo mio diritto non essere incatenata a vita) ma nascondo la tana.
Per questo il mistero di cui alcuni si ammantano mi sembra superfluo. Perché io ipotizzo che essi abbiano "una casa di dentro", sempre per citare Tereza, e che quella sì, sia da salvaguardare.

Siamo molto lontani dalla riservatezza di cui si occupa Sofsky. Ma con Tereza succede così.
Mi piacerebbe citare qualche altro passo del post ma mi sentirei un po' cannibale. Perciò mi fermo qui.


mercoledì 14 aprile 2010

pensiero per Angela


Sono passati tre mesi. Sono passati tre mesi?
Angela esiste.

giocando


Ho giocato una decina di minuti agli anagrammi e sono uscite queste piccole perle.

la libertà= ribellata

berlusconi= in burlesco

paese italia= ai pelata sei!

romanista= marina sto
oppure= ama nostri

senza indugio


Stefano Rodotà gode ottima salute ed io gliene auguro tanta per tanti anni ancora.
Ma il brutto scherzo che mi ha giocato Edmondo Berselli, mancando all'improvviso, mi porta a dichiarare la mia stima per Rodotà senza indugio alcuno. Sperando con questo gesto di portargli fortuna.
Di Rodotà ammiro l'integrità morale, la capacità di guardare lontano (quando i politici manco sapevano di che si trattava lui studiava il rapporto tra democrazia e le nuove tecnologie), l'atteggiamento sempre rispettoso di ogni interlocutore in ogni dibattito (anche quando l'interlocutore meriterebbe un calcio in bocca), la laicità a prova di ferro, e il sorriso mite, ancora fanciullesco. Oltre naturalmente alla grande intelligenza e cultura giuridica.


Questo è il suo più recente articolo.

Una sfida sul destino della democrazia
Repubblica — 12 aprile 2010 pagina 1 sezione: PRIMA PAGINA

ÈMAI possibile che si accetti senza reagire una politica che si manifesta con la distorsione dei fatti, l' aggressione alle istituzioni, l' esibizione di un potere ispirato da una logica autoritaria? Questi sono i temi nitidamente posti da Eugenio Scalfari, e conviene seguire la strada da lui indicata tornando su alcune delle cose dette sabato dal presidente del Consiglio ad una platea di imprenditori. E tuttavia, prima di seguire Berlusconi lungo l' abituale suo itinerario di aggressioni e vanterie, bisogna sottolineare la novità rappresentata dai tre fatti gravissimi narrati da Scalfari, rivelatori non tanto di una inammissibile doppiezza, ma di un sistematico mentire al presidente della Repubblica, che configura un caso clamoroso di slealtà costituzionale. Mentre Giorgio Napolitano si adopera per creare un clima propizio per una riforma rispettosa della Costituzione, Silvio Berlusconi tiene comportamenti pubblici e privati che mettono in discussione la funzione esercitata dal presidente e gli lancia una sfida che può sfociare in un gravissimo conflitto al vertice delle istituzioni. A Parma il presidente del Consiglio si è descritto come prigioniero di lacci e lacciuoli che gli impediscono un' azione efficace, come se non avesse una maggioranza parlamentare senza precedenti nella storia repubblicana e come se non avesse nei fatti mostrato che, quando le convenienze lo spingono, è in grado di far approvare rapidamente qualsiasi provvedimento. Ha imputato l' origine della crescita del debito pubblico ai "governi del compromesso storico", mentre proprio gli imprenditori dovrebbero sapere che quella vicenda comincia con il governo Craxi, un politico dal quale l' attuale presidente del Consiglio non era poi così lontano. Ha detto meraviglie di riforme che si sa bene che non saranno in grado di produrre i miracoli che ad esse vengono associate. Ma soprattutto ha descritto la Presidenza della Repubblica come un luogo che interferisce impropriamente nell' azione di governo, controllando «minuziosamente anche gli aggettivi» dei provvedimenti. E per l' ennesima volta ha definito la Corte costituzionale un "organo politico", che sta lì per smantellare la legislazione che non piace ai pubblici ministeri e ai giudici di Magistratura democratica. Un attacco frontale è stato così portato alle due istituzioni che in questo periodo hanno garantito la legalità costituzionale. Quest' insieme di falsificazioni è il frutto di una strategia deliberata, basata sulla ripetizione degli stessi concettie delle stesse parole, ispirata all' antica regola "calunniate, calunniate, qualcosa resterà". In questo modo si è già creato un perverso senso comune, al quale si fa appello nel momento in cui si deve raccogliere consenso. E ora, gonfiate le vele dal vento elettorale, si pensa di poter portare tutto all' incasso. Che cosa si sta facendo per contrastare questa che non è soltanto una strategia comunicativa, ma una sempre più pesante strategia politica? L' obiettivo di Berlusconi è chiaro e ormai esplicitamente dichiarato. Spazzar via tutte le garanzie e i controlli che "disturbano il manovratore", concentrare il potere nelle mani di una sola persona, invocando quel che accade in altri paesi europei, ma ignorando del tutto i contrappesi che lì esistono. Così, quello che con approssimazione viene chiamato semipresidenzialismo si presenta come concentrazione di potere nelle mani di una sola persona. Non a caso si rifiuta ogni modifica della legge elettorale, che si è rivelata un docile strumento per avere parlamentari scelti dall' alto, vanificando proprio quella sovranità dei cittadini alla quale Berlusconi strumentalmente si richiama quando vuole avere le mani libere da qualsiasi controllo. Si scoprono le carte a proposito della riforma della magistratura. Viene annunciata una antidemocratica riforma elettorale del Csm. La separazione delle carriere dovrebbe portare alla creazione di due consigli superiori, uno per i magistrati e l' altro per i pubblici ministeri, quest' ultimo presieduto dal ministro della Giustizia. Dalla proclamazione della volontà di cancellare la politicità della pubblica accusa si passerebbe così ad un controllo politico, anzi governativo, dei pubblici ministeri con l' evidente possibilità di distogliere il loro sguardo da indagini che potrebbero riguardare chi è vicino alla maggioranza e di indirizzare la loro azione verso chi si muova in modo sgradito al potere. A Berlusconi la democrazia dà fastidio, e non a caso annuncia un plebiscito. Non vuole una riforma, vuole un referendum sulla "sua" riforma. Un referendum che inevitabilmente spaccherebbe il paese, e farebbe percepire la nuova architettura costituzionale come il progetto di una parte, nella quale gli altri non potrebbero riconoscersi. Dalle riforme condivise si passerebbe alle riforme "divisive". Avendo deciso di imboccare questa strada, Berlusconi ha fatto una mossa che, per chi conosce la sua attenzione per il sistema della comunicazione, era prevedibile. Si è materializzato su Facebook. Da tempo, e non solo in Italia, si sottolinea che Internet non è di per sé uno strumento di democrazia e che, anzi, proprio l' insieme delle nuove tecnologie può dare sostegno al crescente populismo. Si torna così all' interrogativo iniziale. Come contrastare questa pericolosa deriva? Contare solo sulla dialettica interna alle forze politiche, sperare nel dissenso dei finiani, cercare pontieri tra maggioranza e opposizione perché la minacciata eversione costituzionale venga ricondotta nel più ragionevole alveo della "buona manutenzione costituzionale"? Guardiamo pure in questa direzione, anche se la sconsolata ammissione del pontiere per eccellenza, Gianni Letta, riferita da Eugenio Scalfari, non autorizza alcun ottimismo. Il compito dell' opposizione si è fatto più difficile, perché non basta contrapporre una bozza Violante ad una bozza Calderoli. Bisogna contrastare Berlusconi sul terreno che lui stesso ha scelto, quello della mobilitazione dell' opinione pubblica che dovrebbe sostenere l' impresa di riforma. Ma bisogna fare un passo oltre la registrazione di questa difficoltà, mostrando a tutti che cosa sia effettivamente diventata la questione della riforma costituzionale: una sfida sul destino della democrazia italiana. Se così stanno le cose, vi è una responsabilità più ampia di quella che riguarda partiti e gruppi di opposizione. Vi è una responsabilità collettiva legata ad una cittadinanza attiva, alla necessità che tutti prendano la parola. La difesa della democrazia non è stata mai affidata a maggioranze o minoranze "silenziose". Proprio perché le tecnologie hanno fatto diventare "continua" la democrazia, continua dev' essere pure l' azione dei cittadini. E oggi il silenzio si rompe in molti modi, da quelli tradizionali a quelli che si affidano alla faccia democratica delle tecnologie, né plebiscitaria né populista. Di tutto questo bisogna parlare, per non lasciare solo il Presidente della Repubblica nella difesa della Costituzione, per scongiurare un cambiamento di regime, per non rassegnarsi al destino di spettatori. Esattamente quello che il Cavaliere vuole. - STEFANO RODOTÀ

martedì 13 aprile 2010

segnalazione/Adro

Julo mi segnala una notizia che fa bene al cuore, apparsa sull'Avvenire di oggi.

Mensa senza soldi, imprenditore salda i debiti
Nel Comune bresciano, gli amministratori avevano minacciato di non dare più da mangiare ai bimbi delle famiglie inadempienti.

BRESCIA. Una svolta, un colpo di scena - destinato a suscitare riflessioni - che può risultare decisivo per la soluzione della partita relativa alla mensa scolastica di Adro ( Brescia) dove alcuni bambini sono stati esclusi dal servizio per gli arretrati nel pagamento della rette, da parte delle famiglie. Un’iniziativa assunta dopo che l’amministrazione a guida leghista aveva spiegato di non voler coprire i debiti della struttura. Una vicenda - per la soluzione, nei giorni scorsi, sono scese in campo anche le Acli provinciali - che ha destato non poche reazioni e polemiche. Un imprenditore del Comune franciacortino ha saldato tutto il debito pregresso, versando il denaro all’associazione di genitori che gestisce la mensa a servizio della scuola elementare e materna del paese. E garantendo la copertura necessaria per tutto l’anno scolastico 2009- 2010.
L’uomo, che intende rimanere anonimo, ha spiegato il proprio gesto in una lettera diffusa alla stampa. « Sono – scrive – figlio di un mezzadro che non aveva soldi ma un infinito patrimonio di dignità. Ho vissuto i miei primi anni di vita in una cascina come quella del film “ L’albero degli zoccoli”. Ho studiato molto e oggi ho ancora intatto tutto il patrimonio di dignità e inoltre ho guadagnato i soldi per vivere bene. È per questi motivi che ho deciso di rilevare il debito dei genitori di Adro che non pagano la mensa scolastica » . Nella missiva aggiunge: ' So perfettamente che fra le 40 famiglie alcune sono di furbetti che ne approfittano, ma di furbi ne conosco molti. Alcuni sono milionari e vogliono anche fare la morale agli altri. In questo caso, nel dubbio, sto con i primi.
Agli extracomunitari chiedo il rispetto dei nostri costumi e delle nostre leggi, ma lo chiedo con fermezza ed educazione cercando di essere il primo a rispettarle. E tirare in ballo i bambini non è compreso nell’educazione » .
L’imprenditore sottolinea, tra l’altro, di vedere « una preoccupante e crescente intolleranza verso chi ha meno » e che i « miei compaesani si sono dimenticati in poco tempo da dove vengono »

Tutto il mio rispetto e la mia ammirazione a questo signore. Un VERO signore.


tecnologia


Ricordate quelle scene toccanti dei romanzi dell'Ottocento? Un vecchio morente e al suo capezzale il figlio. Il vecchio gli fa cenno di accostarsi e, con l'ultimo filo di voce, gli rivela un segreto. Mi chiedevo: che cosa confideremo a nostro figlio con l'ultimo respiro? probabilmente il pin del nostro telefonino.

lunedì 12 aprile 2010

il tiro mancino di Edmondo Berselli


Mi mancherà Edmondo Berselli, quanto mi mancherà! Mi piaceva così tanto leggerlo, imparare attraverso l'arguzia e la leggerezza, seguirlo nei suoi ragionamenti rigorosi di professore con sberleffo antiretorico incorporato. Mi mancherà. Lo avevo letto fino all'altro giorno e ne ignoravo la malattia. La sua morte mi ha coltCorsivoa impreparata: aveva solo 59 anni, sette meno di me. Io ho letto il suo piccolo ma incomparabile Il più mancino dei tiri, in cui il gioco del calcio è no, non pretesto, perché Berselli riconosceva pari dignità a tutto il reale, comunque si manifestasse, ma occasione, ecco, per parlare di politica e società, di psicologia e di sociologia. Un libro delizioso, detto senza affettazione, proprio per dire che leggerlo era una delizia. E ho letto anche Post-italiani dove Berselli senza acrimonia ma senza indulgenze ci fotografa, noi popolo"di un paese provvisorio".
Il più mancino dei tiri, marchio di fabbrica di Mariolino Corso, ed emblema berselliano di un certo modo di giocare la palla sul campo e fuori, Berselli l'ha fatto a me, andandosene così e lasciandomi addolorata e beffata. Addio.

auguri

Ieri abbiamo festeggiato il mio nipotino Tommaso che ha compiuto sei anni.

Io do qualche piccolo aiuto a mia figlia mentre con aria allegra e impavida si dà da fare. Pulisce la casa, sposta mobili, appende festoni, gonfia palloncini, organizza gli spazi e i tempi di ritiro delle pizzette, della torta. Intanto partecipa all'eccitazione di Tommaso, alla sua aspettativa; scherzano, uniti come sempre, quei due. Perché il cuore mi si gonfia così?

Io guardo mia figlia, la vedo darsi da fare senza risparmio per il benessere del suo bambino, per la sua felicità, per la sua crescita. Mia figlia è una brava madre. Un'ottima madre. Molto migliore di me. Lei non lo sa, probabilmente. Noi donne siamo specialiste nel non sentirci belle e nel sentirci cattive madri. Ma perché il mio cuore si gonfia così?

La casa è stracolma di bambini, mamme, papà. Bambini che si rincorrono armati di missili di cartone, bimbe che intorno ad un castello di legno inscenano storie fantasiose. Ruzzolano bicchierini di plastica, volano tovagliolini, panini smozzicati esuberano ovunque. In corridoio un bambino monta e smonta un elicottero, assorto nel suo compito importantissimo, lontano da tutti e da tutto. Una bambina davanti alla vetrata della porta finestra accenna passi di danza. Le gatte schizzano spaventate di rifugio in rifugio. Mia figlia sorride, porge pizzette, abbracci, chiama tutti per nome, non ne sbaglia uno. Ma perché questo cuore mi si gonfia così?

Le mamme sono incredibilmente belle. Giovani, con la grazia della gioventù, alcune hanno lunghi capelli sciolti sulle spalle, altre minuscole treccine, o masse corpose di capelli mossi.
Una li ha cortissimi e sotto il sorriso placido la pancia del terzo figlio. Scherza.
Anche le altre mamme scherzano, custodiscono qualche segreto che le fa ridere tra di loro. Si chinano sui loro bambini che le interpellano per ogni bisogno. La pipì, la sete, il giocattolo che non si apre. Anche i padri presenti fanno perfettamente la loro parte: razionano la coca cola, accompagnano in bagno, tolgono il golfino superfluo.
Gli sguardi paterni e materni s'illuminano nel guardare il proprio figlio.
Il bimbo più piccolo, tre mesi, s'addormenta cullato dalle grida dei ragazzini. La mamma e mia figlia lo guardano compiaciute.
Il cuore mi si gonfia: perché?

Mio nipote è felice, scorrazza, mangia, beve, scarta regali, salta, confabula. Spegne le candeline, si tuffa nella panna. Di che si gonfia questo cuore?

Più tardi, diverse ore più tardi, telefono a mia figlia. Sento che c'è ancora gente lì da lei.
-Povera bibi, esclamo, sarai stanchissima. -Ma vedessi Tommaso com'è felice! mi risponde soddisfatta. Insomma perché 'sto cuore mi si gonfia così?


Chiedere ad una nonna se ami più il nipotino o la propria figlia che lo ha messo al mondo non si fa. Non è solo inopportuno, è sciocco.
Innanzi tutto l'amore è un materiale che difficilmente si può mettere su una bilancia e poi è anche un materiale di diversissima natura. Parlare dell' amore è davvero assurdo. Bisognerebbe parlare degli amori.
Ma io non ho paura a dire che nessun amore, nessuno mai, potrà superare l'amore che ho per mia figlia.
E non riesco a separare bene l'amore che ho per Tommasino da quello che ho per mia figlia, Tommasino è inscritto in lei e ormai lei è fatta anche di Tommasino. Ieri vederlo così sano, bello, allegro felice (e spiritoso!) mi ha riempito di una gioia che dava un po' alla testa.
Ma una cosa ora so: il mio cuore si gonfiava per mia figlia.
Era gonfio di amore, di tenerezza, di orgoglio per quella donna giovane e forte e così spesso stanca eppure così resistente, per quella bella giovane madre che quando sono andata via mi ha dato un bacio e mi ha detto "grazie, mamma." Grazie? Diosanto, di che? I figli non capiscono un cazzo di niente! Ero io che avrei voluto dirle: grazie! grazie di essermi venuta al mondo, grazie di essere la figlia che sei, la madre che sei, la donna e la cittadina che sei, la bambina che ancora sei per me. Grazie per non aver reso inutile nessuno dei miei sforzi. E auguri. A te.