sabato 31 luglio 2010

grazie!

Grazie per i suggerimenti. Ho cancellato e riscritto, ho presentato reclamo e ora è tutto a posto.

Segnalo la tradizionale indagine di Sogni & Bisogni sulle letture estive.

giovedì 29 luglio 2010

help!

I commenti recenti sul mio blog sono arretrati a novembre! Qualcuno di voi sa dirmi a quale indirizzo di posta elettronica posso indirizzare la mia segnalazione a blogger? Nella guida non ho trovato nessuna indicazione. Grazie!

mercoledì 28 luglio 2010

scappare, bisogna scappare...





Ho letto nella notte un piccolo libro che mi ha scossa come un grande libro e continua a turbarmi e com-muovermi. Si tratta di La fuga di Tolstoj di Alberto Cavallari, edito da Skira.
Cinque scarni capitoletti divisi da un gruppo di foto in bianco e nero e preceduti da una cartina geografica dei luoghi, pure in bianco e nero.
Il libro è apparentemente una cronaca -la cronaca dei quattro giorni in cui Tolstoj è in fuga dalla sua casa di Jasnaja Poljana e dalla moglie Sofia- ma è anche il romanzo di un rapporto e una riflessione sulla rivendicazione del proprio io.
Nella notte tra il 27 e il 28 ottobre del 1910 Tolstoj si accorge che Sofia fruga, come mille altre volte, nelle sue carte, tra i suoi diari e i suoi taccuini di appunti. È solo uno degli atti della guerra logorante che oppone Sofia e Lev dopo 48 anni di un matrimonio passato attraverso la passione, l'odio, la gelosia, la volontà di possesso e di annientamento. Lev ha 82 anni, Sofia 66 e i due si avvelenano reciprocamente la vita. Sofia benché sia la più spietata avvelenatrice è anche la più determinata a mantenere stretto il loro legame. Ma quella notte Lev si rivolta. Si dice che la misura è colma, e forse si chiede: Se non ora, quando? Così, nascostamente, nel cuore della notte, inizia la sua fuga che terminerà dopo quattro giorni nella piccola stazioncina di Astapovo, dove il 7 novembre morirà. Le sue ultime parole saranno: Scappare, bisogna scappare.
Il libro è un piccolo gioiello ma l'effetto che ha avuto su di me va al di là del suo valore letterario. Ha a che fare con me, perché tocca temi che mi agitano e mi si agitano dentro da sempre. Hanno agitato la bambina e l'adolescente, la ragazza e la donna e mai si sono sciolti o placati: il viaggio, la fuga, la libertà, il possesso pieno di sé, lo spazio dovuto alla propria interiorità, il diritto alla salvezza e alla rescissione dei legami; l'egoismo anche e la solitudine come unica patria sicura.
Per questo ho letto il libro in uno stato sempre più ansioso, sentendomi incalzata dagli inseguitori, come il mio amato Tolstoj mentre studiava itinerari, trucchi, strategie, diversivi per sottrarsi alla caccia della moglie e delle autorità del paese coinvolte nella ricerca dello scrittore, icona e mito di tutto un popolo.
Il vecchio che fugge, che sogna la lontananza e gli spazi, che sale sui treni come su un cavallo nervoso, che guarda gli immensi paesaggi gelati scorrere nella notte, che assapora l'aria dell'alba fredda e non riposa e si trascura e si ammala e ancora si spinge in avanti, fino a morire: ognuno leggerà a sua modo questa fuga improvvisa. Per qualcuno sarà un estremo tentativo di sfuggire alla morte, per altri una corsa decisa e convinta verso la morte, per altri ancora solo un episodio di una lunga battaglia coniugale conclusosi male per sventatezza o la rappresentazione ultima che l'artista dà della parabola della vita umana. Legga ognuno la metafora come crede.
Ma Tolstoj che si affanna e si guarda indietro, che cambia improvvisamente direzione del suo viaggio, che cancella dietro di sé le tracce del suo passaggio e si arresta solo quando è ormai febbricitante e stordito di freddo e di fatica è per me l'incarnazione di un bisogno di svincolarsi, che non ho mai soddisfatto ma che fino all'ultimo giorno della vita mi si agiterà dentro. Io ho tremato per Tolstoj in fuga, ho trepidato, ho avuto paura e speranza per lui e con lui mi sono guardata alle spalle. Quando ha pianto, ho pianto. Ma non credo no, che questa mia confusa aspirazione allo scavalcamento della mia vita e della sua strutturazione sia solo mia. Per questo mi sento di consigliare il libro, perché, anche se non con la mia stessa e probabilmente patologica veemenza, ognuno può forse riconoscere nella rivolta di Tolstoj un proprio impeto di rivolta e riconoscere che c'è un bisogno di libertà al fondo di ognuno di noi che può insorgere e farci agire anche al termine della nostra vita: che questo bisogno può maturare e farsi atto anche a 82 anni.
Ognuno può forse riconoscere con Tolstoj che scappare, bisogna scappare.





sabato 24 luglio 2010

ripescando

Ora solare (o anche "Il fiato")

Sotto il cielo celeste con piccole nuvole bianche appese qua e là Lei respira la fragranza della sua terrazza. Intanto dà corda ai pensieri colmando di coscienza fluttuante quell'ora che le è stata donata. Ieri sera, dallo schermo legislatore la voce ha detto: mettete indietro gli orologi di un'ora, e lei ha eseguito. Non c'è da compiacersi in festeggiamenti: tra qualche giorno il nuovo ritmo diventerà routine e il tempo tornerà a stringersi su di lei. La tenaglia inciderà ancora le sue tacche nella carne della sua vita. Ma quest'oggi c'è davvero un'ora in più. Lei la consegna al ricordo disordinato. La prima ombra a comparire è come sempre quella di Lui. Un gabbiano di città divide il cielo in due con un grido. Al di sopra resta la rarefazione delle speranze, i bisbigli delle illusioni, la parola futuro come sincopato messaggio pubblicitario. Lei li osserva con attenzione. Al di sotto c'è il suo corpo disteso al sole sul lettino verde da stabilimento marittimo e dalla posizione supina lei guarda ai portavasi aerei da cui spiove l'ultima fioritura di petunie. L'ultima fioritura, pensa. La palpebra destra prende a batterle in sussulti veloci segnalando l'incontro con l' improvvisa comprensione di un dato fin lì sfuggitole. Quest'ora in più, estratta dal tempo canonico, sfuggita quasi per miracolo alla quotidiana programmazione, mai scelta, subita piuttosto, l'ha portata a rispondere alla domanda sulla sua vita che non aveva mai tempo di porsi. Così Lei sale sul cornicione e si lancia nel vuoto celeste senza un fiato.

Lui si aggira inquieto nello studio solenne. Gli hanno restituito un'ora ma non sa come sottrarla al vuoto sterile in cui si sente precipitato d'autorità. Da non sa dove scaturiscono ricordi. Lui cerca di riportare nell'ordine, nello spazio apposito dedicato al trascurabile, i pensieri che lo agitano. Ma questi si precipitano incontenibili indietro nel tempo, quando ancora poteva scegliere tra l'ambizione dell'ascesa e lo sforzo di equilibrio con gli affetti. Gli affetti? L'amore. Per la prima volta lo chiama così, come non lo aveva mai chiamato. Questo il trucco che escogitò: non dargli mai nome "amore". Fu facile così troncare senza ripensamenti e incasellare anche Lei nel novero del trascurabile. Ma quella scelta, quella scelta ora morde in quest'ora che gli avanza. Così Lui apre con un'accelerazione cardiaca che lo spaventa quella vecchia agenda -terzo cassetto a destra della bella scrivania di avvocato di successo. Ne sfuggono due lettere che legge con un risorgere di sentimenti in espansione, che gli invadono l'ora e l'anima e le membra tese del corpo. Quest'ora in più sta disordinando la sua vita, liscia fin qui come una coperta ben tesa sul letto, o gliela sta ripresentando come un'alba promettente? Respinta la domanda inutilmente analitica, Lui afferra il telefono e compone quel numero vecchio ma forse non ancora troppo vecchio. Dall'altra parte neanche un fiato.

martedì 20 luglio 2010

domenica 18 luglio 2010

"pare che nun esistino dolori..."

"Uscire con te è come portarsi da casa la radiolina" mi ha detto il coniuge mattine fa'. Infatti io canto. Canto, sì. Salgo in macchina accanto al coniuge e canto. Lui c'è abituato, dice che quando salgo in macchina vengo presa dalla "cantarella". Canto di tutto. Alla mia mente si presentano le canzoni più improbabili, vecchi ritornelli che sentivo cantare da mia nonna, Come pioveva, porto il mantello a ruota e fo il notaio...pezzi d'opera che era mio nonno a cantare, di quella pira l'orrendo foco...classici intramontabili e recentissime top ten, successi degli anni sessanta e i bon bon di Jaques Brel, la colonna sonora di Oklahoma oh what a beatiful morning e canti di montagna, scempiaggini e il requiem di Verdi, Voi che sapete di Mozart e Siamo i Watussi... Io canto, anche in questi giorni canto. Amo essere scarrozzata in macchina -andare senza dovermi occupare del traffico, dei semafori, delle marce- e cantare. Il coniuge spalanca tanto d'occhi di fronte alla vastità e alla promiscuità del mio repertorio e anche se intono a voce spiegata Donna, tutto si fa per te... il suo aplomb non si scompone. Ogni tanto, quando intono stornelli boccacceschi, benevolo, si limita a scuotere la testa. Io canto.
Il canto è qualche cosa di strano, di inspiegabile, di profondo dentro di me. Un bisogno? Una malattia? Una fuga? Una sfida? Non lo so, ma canto. Sul Lungotevere semideserto io guardo il vecchio fiume e canto Er barcarolo va controcorrente... Ma anche, e non c'entra niente Tipi-tipi-tipso col calypso... Insomma non ho classe né cultura, sono solo un animale canoro che si affida al canto come a una parte del suo corpo, la meno nobile, la più immediata, una parte senza riflessione che non sceglie ma è scelta dallo spunto imperscrutabile di un momento, che affiora dal tempo, dallo spazio, da una vita di canzoni e canzonette e musica e non musica e ricordi e passato e lontananze.
Ogni tanto poi mi taccio. Ammutolisco. Mi piace anche essere scarrozzata e stare zitta. Guardare fuori del finestrino e farmi assorbire da questa città così amata e così deludente. Così grande e così piccola e provinciale; così feroce e volgare e sporca e confusionaria; dalla sua gente indifferente e appassionata, sciatta, immemore, inconsapevole, egoista, sprezzante, presuntuosa, ignorante...la mia gente, che mi tradisce ogni giorno e che nel mio cuore ogni giorno tradisco.
E mi commuovo per la bellezza antica e residuale di questo cimitero di storia, mi viene da piangere per i suoi pini, per le sue pietre, per le palme improvvise, per i tetti incendiati dal sole. L'amo, l'amo troppo, l'amo e non vorrei amarla, l'amo e la detesto, tronfia, oscena, col suo barocco erotico, la memorabile bellezza dei suoi archi e delle sue colonne, le pietre dissestate del suo selciato traditore, il caldo del sud, la luce mediterranea, i mille segni del potere, il gergo che circola da bocca a bocca e il fiume, sporco, e vecchio e stanco...stanco? Ci seppellirà tutti. O amato Tevere che porti le tue acque nel porto imperiale, lì alle bocche antiche, o fiume eterno come questa città malata e indegna e trascurabile ormai sul palcoscenico di ogni nobile attività umana, a toccare le tue acque si rischia di morire. Ma lasciarcisi andare è, in almeno un momento della sua vita, il pensiero nascosto e rapido e sospiroso di ogni romano. Il fiume lo sa mentre attraversa lento la città e questa è come i suoi tassinari: pronta all'invettiva, all'imprecazione volgare, e intanto pavida, ossequiente, scaltra, calcolatrice. Arrogante nella fortuna, distratta nella cattiva sorte.
La mia città, il mio posto. Lo amo il mio posto sì, portatemi in giro per la mia città, scorrazzatemi vagabondando, piangerò di gratitudine, di vergogna, di commozione, di rabbia.
Di amore. E canterò. Diventerò seria e pensosa e canterò pescando dalla canzone romana con la meno educata delle mie voci. La tradizione della canzone popolare romana non è degna di essere confrontata con quella napoletana, lo so, ma è ricca, varia, intensa e contiene piccoli e grandi capolavori. E comunque io l'amo. E la visito pescando in profondità ignote e cantando come cantava mia madre e mia nonna e mio nonno "Nina si vui dormite sognate che ve bacio che v'addorcisco er sonno cantanno adacio adacio...
Io canto e "pare che nun esistono dolori... Canto e "er canto mio se perde tra le fronne...




Nde 'sta nottata piena de dorcezza
Pare che nun esistino dolori.
Spira un ber venticello ch'è 'na carezza
Smove le fronne e fa' sboccià li fiori.

Nina, che voi dormite,
Lasciate ch'io ve bacio,
Che v'addorcisco er sonno
Cantanno adacio, adacio.
L'olezzo de li fiori che ve confonne,
il canto mio se perde tra le fronne.

Nina si co' 'sto canto, io v'ho svejata,
Vi prego di volermi perdonare
L'amore nun se frena, o bimba amata,
Perché nun è peccato a fa l'amore

Nina, si voi dormite,
Lasciate ch'io ve bacio,
Che v'addorcisco er sonno
Cantanno adacio, adacio.
L'olezzo de li fiori che ve confonne,
Er canto mio se perde tra le fronne.

venerdì 16 luglio 2010

reato "linguistico"

La Corte Suprema croata ha confermato la condanna a cinque mesi di carcere per lo scrittore bosniaco Predrag Matvejevic per aver definito "talebani cristiani" alcuni scrittori nazionalisti serbi, croati e bosniaci che con i loro scritti, sostennero, diffusero, caldeggiarono il nazionalismo più ottuso e feroce contribuendo a fomentare le guerre balcaniche. «Sugli uomini della penna ricade la colpa di una parte preponderante di quello che è successo» scrisse Matvejecic che nello scritto incriminato parla delle condizioni delle democrazie dell'est europeo le"democrature", un connubio ambiguo tra democrazia e dittatura, e delle pericolose conseguenze che l'odio fomentato dai diversi nazionalismi ha lasciato dietro di sé dopo le guerre etniche dei Balcani degli anni '90. A seguito della querela di uno di quegli scrittori definiti "talebani cristiani" lo scrittore bosniaco è stato condannato.
Di Matvejecic io ho letto il bellissimo "Breviario mediterraneo" che consiglio a tutti quelli che non lo hanno letto.
“Siamo abituati a perdere. Ogni giorno qualcuno intorno a noi si allontana o sparisce, un’amicizia o un amore impallidisce o si estingue, la morte si porta via uno dei nostri. Perdere fa parte del nostro destino. Però è raro perdere un paese. A me è capitato. Non parlo di uno stato o di un regime, ma proprio del paese dove sono nato e che, ancora ieri soltanto, era il mio. Non c’è più. Ho amato la Jugoslavia intera, indivisa, unita, senza peraltro essere un nazionalista jugoslavo. Ho fatto miei in uno stesso tempo l’Adriatico e il lago di Ohrid in Macedonia, le Alpi slovene e le rupi montenegrine. Ho considerato serbi e croati come fratelli, in particolare quelli tra loro che, come me, si opponevano allo sciovinismo serbo e croato. Non perdonavo a costoro di disprezzare i bosniaci, di volerli asservire o convertire. Mi sentivo a casa mia in Vojvodina, in mezzo a tante minoranze nazionali, e ho avuto un mucchio di amici nel Kosovo, tra gli albanesi. Mi davo da fare quanto potevo per essere di sostegno a un piccolo gruppo di italiani rimasti in Istria dopo un tragico esodo, così come ai nostri zingari, dispersi in ogni dove. Gli zingari furono numerosi nel mio paese: qualche volta mi facevo passare per uno di loro”.

Predrag Matvejevic

piccole gioie

Questa è la mia produzione di pesche. Anche se molto ridotta rallegra il cuore e anche il palato: sono dolcissime.



giovedì 15 luglio 2010

quanto basta

Ci dicono che la paura serve, che la paura è nostra alleata. Che è un segnale d'allarme che proviene dal nostro cervello e ci investe totalmente e ci parla: ci dice che dobbiamo mobilitare le nostre energie, acuire le nostre capacità, dare il meglio di noi stessi per affrontare un rischio, un pericolo, una minaccia. Ben venga la paura, ci dicono.
Ci dicono anche che la paura non deve però farla da padrona, che c'è una quantità/qualità di paura buona e una quantità/qualità di paura cattiva. Un po' come il colesterolo. Di paura occorre averne quanto basta. Non un briciolo di meno, non un'oncia di più.
La paura corre su un crinale. Di qua mobilita, di là paralizza. E noi stiamo in bilico su quel crinale.
Non ci resta che munirci del bilancino dello speziale e procedere.

venerdì 9 luglio 2010

non so:dunque non sono.

Dal numero di giugno della lettera mensile di Ettore Masina.

1. Non so: dunque non sono

Anche al di là dei limiti posti alla magistratura e ai mass-media dalla legge-bavaglio approvata al Senato per diktat di Berlusconi, e ora avviata alla Camera, l’aggressione alla libertà di informazione minaccia l’essenza stessa della democrazia e delle libertà personali.

“Sono informato e dunque sono” : è la storia a suggerirci questa constatazione. Ancor più evidente è la versione negativa. E cioè: “Non sono informato e dunque non sono, non esisto”. Penso ai milioni e milioni di persone che nel secolo scorso andarono a morire nel nome di ideali che in realtà erano traditi da chi li mandava al massacro: essi, i poveri soldati o i costruttori di opere faraoniche senza senso, o i lavoratori convinti che i padroni avessero sempre ragione e che dunque bisognava accettare salari di fame o che per andare in paradiso bisognava rassegnarsi alla miseria, tutti costoro furono vittime di mancanza di informazioni sulla realtà. La loro icona più celebre e più dolorosa è quella dei tre o quattro soldati giapponesi, che continuarono a vivere per trent’anni nelle giungle di qualche isola dell’Estremo Oriente, in una spaventosa solitudine e regrediti allo stato di uomini dell’età della pietra, perché mancavano di due informazioni essenziali; che il loro imperatore non era un dio invincibile e che la guerra era terminata.

Non sono soltanto realtà lontane negli anni e nei secoli. Milioni di esseri umani muoiono oggi perché le grandi imprese farmaceutiche negano informazioni sui farmaci che potrebbero salvarli. Milioni di esseri umani non sono in grado di sviluppare i loro talenti perché l’analfabetismo li priva delle necessarie informazioni sugli strumenti per svilupparli: a ragione Saint-Exupéry parlava di “piccoli Mozart assassinati” : un immenso giacimento culturale ed etico ridotto a cimitero.

Senza informazioni o con informazioni ridotte o con informazioni falsate non esistono vere democrazie. Non è possibile, infatti, valutare idee programmi persone, dunque non è possibile scegliere, non è possibile verificare i risultati delle proprie scelte. La mancanza di informazioni copre potere occulti, criminalità, massonerie, superstizioni. Chi manca di informazioni si aggira in un labirinto costellato di trappole, in cui la luce del sole non penetra mai.

Chi ci nega informazioni sta dicendoci: tu non sei degno di sapere, sei incapace di comprendere, sei un immaturo, sei una persona di serie B ( o C o peggio); hai bisogno che ti dica io cosa devi sapere e dunque cosa devi pensare. Ogni censura è un coltello alla gola della nostra libertà. Chi ci nega informazioni è un nemico, uno che cerca di diventare nostro padrone – o di rinsaldare il suo potere.

Non possiamo sperare di ricevere informazioni veritiere per sovrana concessione. Anche le notizie che ci vengono date o che abbiamo appreso non sono verità assolute. Abbiamo bisogno di verificare le fonti delle informazioni raccolte, di pesare le notizie confrontandole fra loro. Dobbiamo ricordarci che le voci di chi “non conta”, di chi è povero, di chi ha fame e sete di giustizia sono spesso esili o imbavagliate. Cercare informazioni è un lavoro difficile ma significa cercare la verità, che è la missione del giornalista ma anche di ogni uomo.

Mentre rifletto su queste elementari verità, leggo un drammatico rapporto sulle vendite calanti dei quotidiani italiani: in un anno -9 per 100. Mi figuro la gioia di Berlusconi nell’apprendere questa notizia: non ci ha appena proposto di scioperare contro i giornali, rei a suo dire (anche quelli di sua proprietà!) di remargli contro?

Il problema della mancanza di informazione e dunque della gracilità della nostra democrazia è dunque allarmante, a prescindere dell’offensiva berlusconiana, Siamo da sempre il fanalino di coda del mondo democratico quanto a spese per le nostre letture. La crisi economica ha aggravato ulteriormente il fenomeno. Se bisogna tagliare il bilancio famigliare eliminando le spese “meno necessarie”, è quasi automatico per moltissimi, cominciare dall’acquisto di giornali e di libri: “tanto c’è la televisione”. Ridursi al piccolo schermo, non sembra, a troppi, una privazione dolorosissima: non ti passano forse, Rai e Mediaset, notizie e intrattenimento? L’altro giorno, per l’appunto al video, il governatore del Veneto, Luca Brillantina Zaia, ci spiegava che 13 milioni di famiglie italiane sono al livello di povertà; si può pensare che questi nuclei possano permettersi 25 o 26 euro di spesa al mese? Dunque, soltanto 3 milioni circa di quotidiani venduti ogni mattina per 47 milioni di cittadini con diritto di voto. Un’ enorme riserva di caccia per il Cavaliere e i suoi bardi: il giulivo Capezzone, l’onesto Minzolini, il roseo Bondi, il carezzevole Bonaiuti, l’imparzialissimo Vespa, il moderato Emilio Fede (si cerca di ridere per non piangere)…

E non va dimenticato che le statistiche più serie ci avvertono che gli italiani analfabeti (primari o “di ritorno”, per lo più anziani e meridionali, ma non solo) sono almeno 2 milioni e mezzo. Anche in questo caso l’ importanza della scuola incrocia tutti i problemi del nostro paese. Ma la mia sensazione è che insegnanti e giovani siano ancora lasciati troppo soli, a reggere le cretinerie della Gelmini, i tagli iconoclasti di Tremonti e l’incultura casermizia di Silvio Berlusconi.

mercoledì 7 luglio 2010

I, jo, moi, ich, io...blogger europeo



WIKIO.IT, il motore di ricerca compilato direttamente dai propri utenti e che fruga anche nel materiale pubblicato sui blog, tempo fa mi ha invitata a partecipare ad una sua nuova iniziativa: la costruzione della prima Rivista dei blog europei. In pratica si tratta di dare la propria disponibilità a che qualche proprio post (selezionato da Wikio stesso nel nostro blog) venga tradotto in francese, inglese, spagnolo e tedesco e pubblicato su tutti i siti europei di Wikio (wikio.fr, wikio.es, wikio.de e wikio.uk). Le traduzioni non sono opera di software di traduzione automatica ma frutto del lavoro di persone esperte.

Quando ho ricevuto l' invito, pur lusingata, ho pensato che nel mio blog avrebbero trovato ben poco materiale "esportabile" perché l'informazione, soprattutto politica, l'avrebbe fatta da padrona. Ho capito poi che il concetto di Rivista sarebbe stato rispettato. Infatti gli articoli scelti fin qui oltre ai temi politici, sociali o letterari accolgono spunti e riflessioni personali capaci di coinvolgere l'attenzione di utenti di altri paesi e stimolare commenti e dibattiti.

Io ho visto pubblicato sui siti europei il mio piccolo post "elogio del giallo" che è già stato tradotto in francese e inglese ed è in corso di traduzione nelle altre due lingue. Le traduzioni sono molto accurate e vivaci, io ne sono pienamente soddisfatta. Potete farvene un'idea qui (in francese) e qui (in inglese).

Penso che ci si possa autonomamente proporre all'attenzione di Wikio se si ha voglia di contribuire alla Rivista con il proprio blog. In ogni caso a me sembra una bella iniziativa e ringrazio gli amici di Wikio per la loro attenzione. Spero di continuare a meritarla anche se in questo periodo scrivo poco e male.

martedì 6 luglio 2010

38 gradi all'ombra


Se avete molto caldo
prendete un ramoscello di follia
e piantatevelo negli occhi.

Consiglio di Alda Merini
da "aforismi e magie"
BUR Rizzoli - 2009

domenica 4 luglio 2010

"nessuno è ordinario" parola di Alice

Cari amici, vi ringrazio tutti per le vostre parole di affetto. Mi commuovono. In questo periodo i sentimenti si alternano e si accavallano e uno scaccia l'altro. La confusione del mio cuore è grande. Nei momenti di scoraggiamento sento un più forte bisogno di comunicare ma prometto che vi farò partecipi anche dei momenti di speranza. Sulla speranza in questi giorni ho riflettuto molto. Sono ammirata da questo straordinario meccanismo psichico che ci dà la forza di affrontare le difficoltà.




Ho iniziato questa giornata già piuttosto stanca perché ho passato quasi tutta la notte a leggere. Alice Munro, Il sogno di mia madre. Sono otto racconti lunghi, scritti magistralmente. Tutte le storie sono in un certo senso incompiute e si lasciano dietro un punto di domanda. Suggeriscono l'idea che ogni vita è incompiuta ma anche quella che in ogni momento ci può essere una svolta e che questa è preparata da segni quasi impercettibili. Ma Alice Munro li percepisce e ce li fa avvertire. Del resto ha scritto che lo scopo della sua scrittura è riuscire a far sì che "il lettore assista a qualche cosa di straordinario, non per quello che succede ma per come succede." È il come che le interessa perché è il come che rende straordinaria la vita, anche quella più ordinaria. Perché, ci dice la Munro, "la vita ordinaria è tutt'altro che ordinaria".
Buona giornata a tutti noi.