giovedì 29 marzo 2012

la riduzione del danno

Compio ogni giorno i miei esercizi e con fatica.
È molto probabile che sia l'abitudine a condurmi sulla sola via che io conosca, come accade agli animali addomesticati-ma che noi chiamiamo domestici per non dover avere memoria del loro tempo selvaggio- i cani, i gatti, gli asini, i cavalli anche, divenuti ormai abitudinarî, e che tornano, se smarriti o fuggiti in cerca di un antico sapore di liberà, tornano, sui passi che abbiamo loro indicati e poi impressi, tornano nelle nostre case, alle fattorie, alle stalle, su vie e sentieri che una volta appresi sembrano divenuti per loro i soli percorribili. Così io compio i miei esercizi quotidiani, la mia sola via percorribile, essendo ormai trascorso (davvero? e per quanto?) il tempo in cui, divenuta a tutto indifferente, avevo sottratto il mio essere anche all'antica disciplina.
In tutta la mia vita, dacché ho memoria di me, ho sempre fatto i miei esercizi.
Compivo esercizio dopo esercizio, per apprendere la forza, il coraggio, la dirittura, in breve: per creare un migliore me. Quanti fallimenti, quante sconfitte e che miserevoli risultati; Resisi subito evidenti e persino di abbagliante evidenza. E chissà quanti, ancora a me ignoti, ben celati nel fondo della parte più opaca della mia coscienza! In ogni caso in un tal numero sono stati e sono, da dover riconoscere che il mio miglior me non è mai venuto alla luce. Ma lo sforzo di migliorarmi non cessava mai e gli esercizi si ripetevano e si ripetevano... la sconfitta non appannava né la sete di cambiamento, né la fede in esso. Soprattutto non mi spogliava di energia, di entusiasmo, di slancio; e la vita la concepivo come una palestra, un campo di addestramento, di scoperta e di battaglia, in cui misurarmi -e la misura l'avrei decisa io, l'asticella di volta in volta la fissavo io. Un po' più in alto, un po' più su. Quante cadute, quanta vergogna. Ma il frequente precipitare sull'ostacolo lasciava intatta la mia voglia di battermi. Un altro esercizio e ripartivo, traendo la forza dal mio scontento, dalla delusione che ispiravo a me stessa.
Ho percorso la mia vita così. Non credo che tutto questo affannarsi -che gli esercizi- fossero nobile cosa, poiché nascevano a ben guardare dal desiderio di essere amata, di guadagnarmi l'amore per merito di guerra, secondo un'equazione bugiarda: divenire kalè kai agazè avrebbe significato amore. Infatti allora credevo che l'amore fosse guadagnabile e non un dono senza spiegazione alcuna.

Quella strada ripida, quella pista ad ostacoli-la via degli esercizi quotidiani- la percorro ancora oggi. È la mia sola modalità, l'animale che io sono non conosce altra via. A testa bassa, un passo dietro l'altro, sotto un peso che non mi lascia mai, faccio i miei esercizi quotidiani. Non aspiro più a diventare kalè kai agazè, ho accettato da tempo la verità vera: sono quello che sono e se quello che sono non mi piace -e non mi piace- anche questo va accettato. (Intollerabile resta però la sensazione di ingannare altri-generosi o ingenui- circa la mia vera natura. Questo determina equivoci in cui spesso offendo gesti di fiducia  e stima verso di me. Verrà un giorno in cui forse capiranno che mi allontano perché temo che scoprano la mia natura scadente? 
Dunque compio ogni giorno i miei esercizi. Li ho ripresi, dopo un periodo in cui sono stata semplicemente indifferente a tutto e a tutti e sapermi specialmente egocentrica ed egoista non mi turbava affatto, perché vivevo dentro una me che non riusciva a separare la sua stessa individualità dal suo dolore. 

Ha scritto Christa Wolf

"Voglio tenere a mente che c’è un livello di debolezza oltre il quale non si può prendere su di sé neanche un milligrammo di preoccupazione o di pietà per gente tanto lontana, figuriamoci per chi ci è vicino.”

E Aldous Huxley
"A volte gli sembrava che una paralisi interiore  s’impadronisse di lui, ottundendogli prograssivamente l’anima."


Loro dicono come io non avrei mai saputo il mio stato d'animo. Ma torniamo ai miei esercizi.
Ne compio dunque ogni giorno. La misura la dettano le mie poche forze, l'asticella è bassa, il campo di addestramento circoscritto, limitato ai pochi compiti della quotidianeità. Non mi aspetto né desidero riconoscimento o apprezzamento alcuno, né amore o comprensione, empatia o solidarietà - faccio solo il mio dovere -. È solo che voglio avvicinarmi ai saluti nel modo più onesto e veritiero possibile, portarmi dietro solo gli errori che non posso più correggere, che non posso più riparare e i fardelli di cui ormai la mia coscienza non potrebbe più disfarsi. Fardelli antichi ed altri più recenti. Non voglio aggiungerne di nuovi, ecco.
Punto alla riduzione del danno.



10 commenti:

  1. Marina, il fardello lo porterà chi non godrà più della tua presenza,e
    mi permetto anche di dirti che sei troppo severa con te stessa.
    Hai scritto un post meraviglioso!
    Cristiana

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  2. ha ragione cristiana pare anche a me che tu sia troppo severa con te stessa, ti direi fai i tuoi esercizi perchè o se ti fanno sentire meglio altrimenti che importa

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  3. Mi dispiace, Amica mia, non sono affatto d'accordo! Cosa ti hanno fatto! Cosa "ci" hanno fatto! Sempre questa intransigenza, questa severità selvaggia, questo accanimento contro noi stesse, che siamo belle, intelligenti, luminose, che sappiamo parlare, sappiamo pensare, sappiamo entrare in sintonia con l'altro e soccorrerlo.
    Terreno irto di mine, questo argomento, se vuoi lo sviluppiamo: INSIEME. Per ripararlo, il danno, non ridurlo, non attenuarlo, proprio ripararlo: perché non ci faccia ancora male, e perché la nostra luce possa illuminare soprattutto noi stesse, ché una piccola parte di mondo l'abbiamo già illuminata esistendo!
    Lucia

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  4. Non è giusta questa severità nei confronti di te stessa, perché è facile sminuirsi, è un’altra faccia di egoismo altruista. Non è giusto anche per chi ti ha amato ed è andato via.Lui sapeva il tuo lato migliore, la vita che gli passavi, sapeva del tuo essere in guerra, e del tuo essere viva. Non è giusto per chi adesso ti vuole bene, per chi ha bisogno di te, quanto tu di lei o lui. Voi femminucce avete maniere raffinate, per farvi male, per crearvi infelicità senza desideri, e aggiungere dolore a quello che già state sopportando. Abbracciati un poco, e l’asticella spezzala, tanto ci pensano i giorni di questa vita a sistemarla sempre un po’ più in alto di quanto il nostro cuore vorrebbe.

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  5. Un augurio, che gli esercizi diventino sport. Disse qualcuno che la vita si sviluppa sui fianchi della montagna, non sulla cima. Perciò, sarebbe bello trovare godimento e gioia in questo sentiero, negli esercizi, prima ancora che aspirare alla gioia che verrà se il tuo io migliore vedrà la luce.

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  6. Buonasera Marina. Sai che non ho mai smesso di frequentare questo luogo ed oggi mi sento premiato. Da molto tempo non scrivevi un vero post! Da molto tempo non lasciavi qui che l'orma di un vuoto incolmabile. Una dimensione di chiusura giustificata perchè intima, difficile da digerire perchè sai regalare molto.
    Leggendo i commenti fin qui arrivati vedo che la maggior parte di essi non crede alla tua severità o la giudica eccessiva: io la penso diversamente. E' stato l'esercizio della tua autoanalisi a farti giungere a certi elevati livelli. Non incensarti ti ha fatto amare senza piaggeria, inezie essenziali è il risultato.
    Credo a ciò che dici parola per parola e, nonostante questo, l'ultima cosa che vorrei è la chiusura di questo blog. Ho completato lA RIEDIZIONE DEL MIO VECCHIO BLOG e ti sarei grato di una tua visita... come vedi molti di noi stanno "trapassando" in modo personale. A ciascuno il suo. Una stretta di mano
    Enzo

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  7. affido ad alcuni miei haiku il senso d'un soffio, il tocco d'una carezza, l'eco d'una parola non detta e non dicibile se non con l'audacia d'una metafora:


    Le nuove gemme
    ricamano la vita
    sui rami sgombri



    Docile danza
    papaveri nel vento
    variano sempre



    In profondita'
    - un mantice di vita -
    il respirare



    E' così umano
    disperarsi e gioire
    sentirsi vivi



    Oscillazioni
    spiragli di sereno
    nel cielo grigio



    Un papavero
    aspetta d'esplodere
    vivida vita



    Mi fai bene tu
    curami ti curero'
    tocco di mani



    Inutili mai
    le parole d'amore
    dentro le mani



    Neve prepara
    il lento sbocciare dei
    fiori a venire



    Mi lascia il sogno
    - ricordati di te ora -
    inizio il giorno



    ogni scoperta
    come un vento gradito
    sulla pelle



    la nebbia addosso
    per dare confidenza
    all'incertezza



    schiva la morte
    il cuore fanciullino
    in tutti i modi



    Campi del cuore
    di papaveri spighe e
    canto di grilli



    una giornata
    di respiro e di vento
    e di speranza



    È la memoria
    Papavero di campo
    Che tiene desti



    Marina spesso tu hai apprezzato i miei haiku e me lo hai anche gentilmente detto in un impeto di connessione che ho molto gradito, ora li lascio qui con nessun altro fine che non quello d'un contatto nel modo che più mi corrisponde sul piano ideale
    (ché dirti invece quel che pure penso cioè che non è condivisibile, che è terribilmente ingiusto e che non va per niente bene il tuo adesivizzarti in un senso di colpa clonato alla madre depressa interiorizzata svalutante e anaffettiva, so per certo che ciò risulterà irritante in quanto illazione e interferenza e di fondo una stonatura un'incomprensione anche se il tuo parlare intimamente coraggiosamente di te coram populo forse invita le persone che ci tengono ad interagire con te, ad un imput di scambio sulla base di un'attivazione emotiva che non intenderebbe restare indifferente ma vorrebbe in sincerità dire qualcosa che però è così difficoltosa su un terreno terribilmente minato)

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  8. Nicolino scrive:che suadente,dolceamara realtà trapela dalle tue parole sulla riduzione del danno:comunque una pratica che dovremmo tenere sempre a mente nel vivere....

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