mercoledì 30 luglio 2014

quando qualcuno parla anche per noi

È un altro degli inconvenienti del subire una disgrazia: per chi la soffre gli effetti durano molto di più di quello che dura la pazienza di quanti si mostrano disposti ad ascoltarlo e a stargli vicino, l’incondizionalità non è mai molto durevole se si tinge di monotonia. E così, presto o tardi, la persona triste rimane da sola quando ancora il suo lutto non è concluso o non le è più consentito di parlare oltre di quello che è ancora il suo unico mondo, perché quel mondo angoscioso risulta insopportabile e si allontana. Si rende conto che per gli altri qualunque disgrazia reca una data di scadenza sociale, che nessuno è fatto per contemplare il dolore, che tale spettacolo è tollerabile soltanto per un periodo breve, finché vi è ancora commozione e lacerazione e una certa possibilità di protagonismo per quelli che guardano e assistono, che si sentono imprescindibili, salvatori, utili. Ma nel verificare che niente cambia e che la persona in questione non riesce ad emergere, si sentono frustrati, la prendono quasi come un’offesa e si ritirano: “Forse non le basto? Come mai non ne viene fuori, pur avendo me accanto? Perché insiste nel suo dolore, se è già passato un certo tempo e io le ho dato distrazione e conforto?

Se non riesce a risollevare la testa, che affondi o 
sparisca”. E allora l’avvilito fa proprio questo, si ritrae, si assenta, si nasconde.

Da “Innamoramenti” di Xavier Marias



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